Domani inizia il Festival della Scienza di Genova: è l’undicesima edizione per un evento che ormai è diventato un simbolo della comunicazione scientifica in Italia e, in qualche misura, un punto di riferimento – non unico, in verità, basta pensare alla manifestazione BergamoScienza che si è appena conclusa – quando si pensa alla diffusione della cultura e delle conoscenze scientifiche rivolte al grande pubblico. Non senza qualche equivoco e qualche riduzione che affligge termini così ponderosi come “scienza”, “conoscenza”, “cultura”, “comunicazione”, e che a volte rischiano di essere risucchiati in un turbinio di iniziative ad effetto che catturano sì l’attenzione ma spesso a svantaggio di una reale assimilazione dei contenuti.



In ogni caso, un evento come quello di Genova ha dalla sua una ricchezza e varietà di proposte e un carnet di presenze di primo piano tale da rendere possibile, a chi non vuole limitarsi alle suggestioni e all’impatto emotivo, un incontro e un confronto che faccia emergere il senso dell’impresa scientifica e i veri motivi che ne giustificano la comunicazione. Motivi che pescano in qualcosa che riguarda tutti e che si presenta a prima vista come curiosità istintiva e spontanea per poi rivelare, a chi ha la pazienza di scavare, interessi e desideri più profondi che toccano il bisogno di tutti di un incontro pieno e totale con la realtà.



Può essere utile, in questo cammino di avvicinamento alla realtà, la parola guida che il Festival ha sempre posto come sintesi di ogni edizione; i riflettori si sono puntati via via su termini quali: oltre, esplorazione, frontiere, scoperta, curiosità, diversità, futuro, orizzonti, immaginazione e nel 2011 si sono celebrati i 150 anni dell’Italia guardando oltre il presente. Tutte parole e concetti che si prestano a diverse letture e richiedono una valutazione critica ma che esprimono bene alcune dimensioni fondamentali dell’esperienza scientifica.

Anche la parola d’ordine di quest’anno rientra in queste considerazioni, anche se a prima vista potrebbe rappresentare un aspetto marginale se non addirittura estraneo alla scienza. Si parla della Bellezza perché, come dicono gli organizzatori: «Nella meraviglia della scoperta, nella potenza dei fenomeni, nell’eleganza di una teoria; la bellezza colora il nostro stupore e ci accompagna verso nuove sfide. L’abbiamo scelta come filo conduttore per l’undicesima edizione del nostro Festival perché, parafrasando le parole di Richard Feynmann, la scienza ci permette di vedere “nel fiore molte più cose di quante ne possano vedere gli altri”».



Il programma del Festival è stato costruito a partire da questa convinzione e sulla provocazione di una citazione di Maria Curie, tratta da una pagina della grande scienziata (una dei quattro che hanno vinto due premi Nobel) che qui vogliamo riprodurre interamente: «Appartengo alla schiera di coloro che hanno colto la bellezza che è propria della ricerca scientifica. Uno scienziato in laboratorio non è solo un tecnico: si trova di fronte alle leggi della natura come un bambino di fronte al mondo delle fiabe. Non dovremmo far credere alla gente che il progresso scientifico possa esser ridotto a un meccanismo, a una macchina, a un ingranaggio: cose che, del resto, hanno la loro bellezza. Non credo neanche che lo spirito dell’impresa scientifica minacci di scomparire dal nostro mondo. Se in tutto ciò di cui mi accoro c’è qualcosa di vitale, questo è proprio lo spirito d’avventura che sembra inestirpabile e si collega alla curiosità».

È molto efficace il modo di esprimersi della scienziata polacca: ad esempio, quel “inestirpabile” rende molto bene l’idea che la curiosità scientifica non sia solo qualcosa di superficiale o di momentaneo ma peschi più in profondità. C’è molto di più di una reazione estetica a qualcosa che colpisce i nostri sensi: è il richiamo a quello che già gli antichi avevano intuito quando dicevano che “la bellezza è splendore del vero”.

Singolare poi il fatto che madame Curie sia preoccupata che la ricerca non diventi un “meccanismo”, una routine ripetitiva o, diremmo oggi, una procedura da implementare su un programma di simulazione al computer. A partire dalla sua intensa e infaticabile attività sperimentale, nel laboratorio di Parigi col marito Pièrre, giunge a parlare di una bellezza anche degli strumenti e degli “ingranaggi”: come a ribadire che la bellezza è dovunque e il problema è di avere lo sguardo aperto a riconoscerla.

Questo potrebbe essere allora il suggerimento per il “pubblico di ogni età” invitato dagli organizzatori alla partecipazione sulla base di un programma che prevede conferenze, laboratori, mostre scientifiche e artistiche, spettacoli, incontri, tavole rotonde, exhibit, concorsi per start up e progetti speciali.