Le prime banche dati dell’epoca contemporanea nascono intorno agli anni ’40 e si espandono rapidamente, generando archivi dapprima molto riservati e successivamente offerti agli utenti pubblici con tecniche di gestione di informazione differenziate, linguaggi di interrogazione e recupero dell’informazione piuttosto ostici, a costi talora esorbitanti, vendute su CD_Rom o con contratti specifici con gli host commerciali.
Come non ricordare Aristotele, che nel primo libro della Metafisica attribuisce ai Pitagorici la dottrina per cui i numeri costituiscono l’essenza di tutte le cose. Possedere una banca dati, sia pure secondo un’architettura che oggi farebbe sorridere, significava in qualche misura avere un potere rilevante nei confronti della conoscenza di una o più variabili.
L’idea di costruire delle banche dati rispetto ad un determinato elemento della realtà è sicuramente interessante, in quanto, nel rispetto dei canoni scientifici, è essenziale conoscere un oggetto anche attraverso la sua dimensione quantitativa. Tutti i ricercatori sanno, però, che le misure di un determinato elemento subiscono delle mutazioni nel tempo, secondo velocità differenti: infatti, nulla di ciò che appartiene alla Terra, per non dire all’universo, ha una sua immobilità o staticità o indeformabilità.
La banca dati, quindi, “fotografa” un oggetto in un determinato momento del tempo ed in uno specifico spazio. Di conseguenza, l’informazione che se ne ricava risulta essere attendibile solo all’interno delle coordinate spazio temporali di contestualizzazione. La qualità del dato è, perciò, scarsamente significativa in un ambito di ricerca, soprattutto laddove non venga contemplata la sua dinamicità , cioè il suo continuo aggiornamento: il lavoro di catalogazione numerica risulta di scarsissimo rilievo e, se valutiamo i costi di realizzazione, si potrebbe affermare di avere sprecato del denaro, quasi sempre pubblico.
Ovviamente bisogna annotare dei distinguo, nel senso dei criteri di scelta metodologica da adottare per la creazione di banche dati. Nessuno può negare l’utilità di informazioni prodotte da Enti propriamente addetti alla catalogazione di eventi a livello nazionale come l’Istat, o gli Uffici Tecnici Erariali, o l’IGM di Firenze e con esso tutti i sistemi di informazione geografica (GIS), perché la strutturazione del loro lavoro è esattamente in linea con il criterio di aggiornamento continuo dei dati, in modo da renderli fruibili con un discreto livello di attendibilità.
Forse è meno appropriato un sistema di costruzione e di gestione di banche dati finalizzato alla presunta proprietà di elementi considerati strategici, ma nella realtà assai poco fruibili in ambito scientifico e tecnico. Mi riferisco a banche dati occasionali, create nell’ambito di una singola ricerca, costate in misura rilevante all’Ente che le ha programmate e poi abbandonate in un archivio del proprio PC: dati inutili, dati raccolti senza finalizzazioni concrete, ma solo per arrivare a produrre una pubblicazione e, in ultima analisi, non per incrementare la conoscenza del reale.
Ma c’è un ulteriore aspetto che occorre sottolineare per arrivare a comprendere il valore di un database. Non solo le variabili della superficie terrestre sono in continua evoluzione, ma, la questione più singolare è data dal fatto che tutte sono in relazione tra loro, cioè afferiscono ad una realtà unita ed indivisibile. Ne deriva che la vera utilità delle banche dati non consiste nella catalogazione di una serie di valori numerici riferiti ad un oggetto, ma nel cogliere le relazioni tra una variabile e l’altra, cioè nel valutare il peso dei fattori capaci di interferire nella organizzazione e nell’evoluzione di un fenomeno.
Questo è un processo ancora poco sviluppato nel campo della ricerca scientifica, perché restringere l’area di indagine su alcune variabili, escludendone altre, significa presumere livelli di separazione della realtà talora arbitrari o soggettivi, raggiunti attraverso un livello speculativo attinente l’esperienza e la sensibilità del ricercatore.
È evidente che queste brevi righe non hanno alcuna pretesa di essere esaustive, data la complessità del campo informatico di riferimento; ma, correlare banche dati per raggiungere obiettivi incomprensibili a livello di osservazione analitica potrebbe essere una modalità costante per accedere alla conoscenza sempre più ampia della realtà.