C’è molta Italia in questo premio Nobel per la fisica 2013; come ci sarà a Stoccolma due giorni prima della consegna dei premi, quando il maestro Riccardo Muti dirigerà la Royal Stockholm Philarmonic Orchestra nel Nobel Prize Concert eseguendo musiche di Verdi, Martucci e Respighi. Molta Italia perché il contributo dei nostri ricercatori è stato determinante e quantitativamente consistente in tutte le fasi che hanno portato nel 2012 alla scoperta del bosone di Higgs, oggi premiato dalla Accademia delle Scienze Svedese: dalla progettazione del grande acceleratore LHC, alla sua costruzione e gestione, agli esperimenti che hanno rivelato la particella, alle analisi dei dati.
Per questo al Cern la soddisfazione è grande e si inizia una festa in contemporanea con quanto sta accadendo nelle università dove insegnavano i due vincitori: a Edinburgo, per Peter Higgs e a Bruxelles per François Englert. C’è solo una leggera punta di rammarico per il fatto che ai due sarebbe stato bello poter aggiungere in blocco tutti coloro che hanno collaborato a LHC o lo stesso Cern come istituzione. Ma sembra che non sia possibile e che si possano premiare solo singoli scienziati, in un numero massimo di tre.
Lo sa bene Lucio Rossi, uno degli italiani di punta a Ginevra – è stato a capo del gruppo magneti superconduttori e ora coordina il Progetto High Luminosity LHC – che fino all’ultimo ha sperato che il Comitato Nobel facesse uno strappo alla regola; qualcuno ha anche interpretato il ritardo di un’ora nella proclamazione dei vincitori come causato dai contrasti tra i commissari proprio su questo punto: «Personalmente sono contento che abbiano vinto Higgs e Englert ma penso che si sarebbe potuto aggiungere anche il Cern. In realtà, l’impossibilità di premiare un’istituzione non corrisponde a una regola scritta ma a una tradizione consolidata, che non si è ritenuto di modificare. Posso capire i motivi di questo; ma penso che per una realtà come il Cern, dato il suo carattere internazionale, si poteva fare un’eccezione».
Lo stesso Rossi tuttavia fa notare che il riconoscimento al Cern non manca, in quanto nella motivazione ufficiale del premio si citano gli studi teorici dei due fisici ma anche la conferma sperimentale del modello da loro ipotizzato: «E non c’è un generico riferimento agli esperimenti ma vengono nominati il Cern, l’acceleratore LHC (Large Hadron Collider) e i due esperimenti ATLAS e CMS che hanno concretamente scoperto il bosone». Esperimenti che sono stati guidati da Fabiola Gianotti e Guido Tonelli; e qui torniamo al discorso del contributo italiano.
Certo, si può leggere nelle recenti scelte del Comitato Nobel una certa preferenza per la fisica teorica, che ha portato a premiare gli autori di modelli teorici come Higgs e Englert; modelli elaborati quasi cinquant’anni fa, quando nel 1964 indipendentemente hanno pubblicato a distanza di pochi mesi due articoli che spiegavano la natura della massa nell’universo a partire dalla presenza di un campo che riempie tutto lo spazio.
Le loro teorie descrivevano il particolare meccanismo che spiega come questo campo e le sue perturbazioni sono all’origine della massa. Englert però non ha lavorato da solo, come Higgs; con lui c’era Robert Brout, scomparso nel maggio 2011, che idealmente dovrebbe essere associato ai due nella vittoria: «ma anche qui c’è una regola che non considera premiabili persone decedute, salvo che il decesso avvenga dopo la nomina. Comunque Brout dovrebbe essere ricordato denominando il meccanismo come meccanismo di Brout-Englert-Higgs e non solo di Higgs come si fa comunemente.
Quanto al bosone, qui c’è da ammettere che solo Higgs nell’articolo del 1964 ha indicato l’esistenza della particella come conseguenza del meccanismo e quindi si giustifica il fatto che porti il suo nome. Anche se, per essere precisi, proprio Brout aveva fatto notare che ogni campo comporta una particella e quindi lui e Englert non avevano nominato la particella perché era implicita …».
Per chi vuole trovare elementi critici nella decisione dell’Accademia svedese gli argomenti non mancano. Ad esempio, anche restando all’idea di premiare solo i teorici, altri nomi si sarebbero potuti aggiungere: come quelli di Gerald Guralnik, Tom Kibble e Carl Hagen, considerati co-scopritori del meccanismo di Brout-Englert-Higgs. Ma la priorità è stata attribuita a questi ultimi due che così il 10 dicembre si recheranno a Stoccolma a ritirare il premio. Con il plauso convinto degli scienziati del Cern; compreso Lucio Rossi che, con un ultimo colpo di speranza non esclude un disaccoppiamento tra la premiazione della teoria e quella della scoperta sperimentale: «Non sarebbe la prima volta. Quando nel 1984 Carlo Rubbia ha vinto il Nobel per la scoperta dei bosoni W e Zo, erano già passati cinque anni dall’attribuzione dello stesso premio a Glashow, Weinberg e Salam per la teoria dell’interazione debole che implicava l’esistenza di quelle particelle».