È passata un po’ in sordina all’interno del COP 19 – la Conferenza delle Parti che periodicamente l’Onu organizza per tentare di trovare un accordo operativo mondiale sul clima – l’evento di domenica scorsa che ha caratterizzato quella che è stata denominata la “Giornata della Criosfera”. Del resto un po’ tutto questo summit, che si chiuderà venerdì 22 a Varsavia, è stato sottotono e difficilmente un colpo di coda dell’ultimo giorno potrà ribaltarne l’immagine e darci il tanto agognato accordo sui cambiamenti climatici. Più facilmente il tutto si concluderà con un documento interlocutorio che verrà presentato come base per il summit successivo – la COP 20 in programma nel 2014 a Lima – che a sua volta si tradurrà in una tappa interlocutoria in preparazione del COP 21 di Parigi, dal quale, forse, potrebbe sortire qualche risultato consistente.
Ma torniamo alla Criosfera. Al di là degli esiti diplomatici di queste conferenze, restano eventi come questo che diventano occasione per mettere a fuoco certi problemi e indicare linee di intervento che possono essere subito intraprese, senza attendere firme e controfirme di politici e governanti. A Varsavia infatti è stato portato all’attenzione delle Nazioni Unite un vero e proprio appello, sintesi dei contributi di oltre 50 tra i più accreditati ricercatori al mondo in ambito ambientale e climatico che invita a mettere le montagne al centro delle ricerche e delle politiche sui cambiamenti climatici.
In questa iniziativa il ruolo degli scienziati italiani è stato rilevante: basti pensare che l’appello presentato e discusso alla COP 19 non è altro che il documento conclusivo contenente i “Key Messages” emersi durante l’High Summit svoltosi a Lecco nell’ottobre scorso, ovvero la “Conferenza Conferenza Internazionale sulle Montagne e il Cambiamento Climatico”. Il documento è stato sottoscritto da Martin Beniston (Università di Ginevra), Paolo Bonasoni (ISAC -CNR), Enrico Brugnoli (CNR), Agostino Da Polenza (Comitato Ev-K2-CNR), Sandro Fuzzi (ISAC –CNR), Bhaskar Singh Karky (ICIMOD, Nepal), Stefania Proietti (Università di Perugia), Antonello Provenzale (ISAC – CNR), Renzo Rosso (Politecnico di Milano), Claudio Smiraglia (Università Statale di Milano), Deon Terblanche (WMO, Svizzera) e Elisa Vuillermoz (Comitato Ev-K2-CNR).
Il documento finale dell’High Summit – ripreso a Varsavia sia il 17 che il giorno prima in un evento organizzato da Ev-K2-CNR, ICCI (International Cryosphere Climate Initiative) e Clean Air Task Force – affronta cinque grandi temi: clima, criosfera, ecosistemi montani, acqua, impatti ambientali e socioeconomici; ciascuno di essi è associato alle recenti scoperte rese note dal Quinto Rapporto di Valutazione dell’IPCC e sottolinea i principali interventi richiesti per mitigare i rischi determinati dal cambiamento climatico, con particolare attenzione alle aree montane.
Si parte dalla considerazione realistica iniziale che «molti degli aspetti legati al cambiamento climatico persisteranno per secoli, anche se le emissioni di gas serra saranno interrotte. Attività di mitigazione del cambiamento climatico rappresentano, di conseguenza, un impegno plurisecolare per la società umana».
Per quanto riguarda le principali componenti criosferiche delle aree montane, cioè i ghiacciai, la neve e il permafrost, oltre che costituire dei validi indicatori di mutamento, conservano una gran quantità di risorse idriche il cui contributo all’equilibrio idrico però non è ben noto; è perciò necessario un approfondimento delle conoscenze e anche un maggiore coordinamento fra i ricercatori operanti negli ambiti della criosfera, dell’idrologia, della climatologia, della geologia e dell’ecologia.



Sul tema “acqua”, nonostante le incertezze nelle analisi dei dati storici e nelle proiezioni, i firmatari del documento si aspettano che in un prossimo futuro «si possano riscontrare significativi cambiamenti stagionali del ciclo idrologico, nelle regioni montane del mondo. Tali cambiamenti stagionali potrebbero determinare ricadute negative in relazione a tutti gli usi dell’acqua, anche in relazione ad agricoltura, sicurezza alimentare, acqua potabile, energia idroelettrica ed ecosistemi».
Circa gli ecosistemi montani, gli scienziati concordano sul fatto che il loro stato reale sia ancora solo parzialmente conosciuto e che sia «particolarmente complesso realizzare una stima delle loro reazioni ai cambiamenti climatici e alle variazioni ambientali». Da qui l’esigenza di attivare una rete globale di misura e raccolta dei dati esistenti e di renderli disponibili a beneficio di tutti. In tale direzione è stata rilanciata a Varsavia l’iniziativa, avviata nel quadro di GEO/GEOSS, volta a realizzare una rete globale per l’osservazione e l’informazione relativa agli ambienti montani (GEO-GNOME).
Infine, pensando agli impatti socio economici dei cambiamenti climatici, il key message è molto esplicito: si tratta di «valorizzare il capitale umano e ambientale e implementare azioni volte a un virtuoso utilizzo dei suoli e alla conservazione del territorio tipico degli ecosistemi montani». A tale fine vengono indicati una serie di strumenti tra i quali: tassazione ambientale, pagamento per i servizi ambientali, raccolta e riciclo dei rifiuti, meccanismi legati ai crediti di carbonio, nuovi tipi di mercati regolati e volontari dei crediti di carbonio.

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