In casi come questo i paragoni sono tanti, più o meno fantasiosi e azzeccati. Nel caso della mancata sopravvivenza della cometa Ison, quello più classico è il paragone con l’Icaro della mitologia greca: anche lui, avvicinandosi troppo al Sole ha visto sciogliersi le ali audacemente costruite ed è precipitato. 

Ison quindi non ce l’ha fatta; deludendo le aspettative di tanti che si preparavano ad un Natale con la cometa. Il passaggio ravvicinato attorno al Sole è costato caro e chi l’aveva seguita fino a ieri sera poi l’ha persa per sempre.



«Nei giorni scorsi – dice a il sussidiario.net Paola Battaglia, astrofisica dell’Università degli Studi di Milano e Presidente del Circolo Astrofili di Milano – i diversi strumenti che stavano seguendo il cammino della cometa avevano confermato che la Ison stava proseguendo il suo percorso di avvicinamento al Sole: negli ultimi tre giorni la sua magnitudine continuava a crescere e la sua luminosità era aumentata di circa quattro volte, il che faceva ben sperare: significava che la cometa era ancora ricca di materiali volatili». 



Tutto quindi procedeva come previsto in attesa del fatidico giro di boa decisivo per la sua sopravvivenza (e per la nostra meraviglia). Era anche aumentata moltissimo la produzione di polvere e questo aveva portato alcuni a pensare che il nucleo si fosse già disgregato; ma successive osservazioni avevano smentito la spiacevole ipotesi. 

Erano in tanti a tenerla d’occhio. C’erano, ovviamente, schiere di astrofili e amatori, che ormai possono usufruire di strumenti potenti e in questo caso più che sufficienti per ottenere buoni risultati osservativi. Sono quelli che non si perdono neppure un evento astronomico appena diventa osservabile e che erano ancor più attratti dalle caratteristiche di Ison che faceva sperare in uno spettacolo da record; era già stata denominata “cometa del secolo”. 



In effetti non si conosce ancora bene il percorso completo della cometa: non è chiaro se è periodica e quale è il suo periodo; oppure se la sua traiettoria non è ellittica ma iperbolica o parabolica e quindi il suo sarà comunque un viaggio di sola andata. «Probabilmente – continua Battaglia – è partita dalla nube di Oort, quella regione periferica del sistema solare che è un enorme serbatoio di massicci di ghiaccio destinati a diventare comete; dalle osservazioni fatte da quando è stata avvistata, nel settembre 2012, si è capito che è una cometa di tipo “sun grazing”, quindi che arriverà a sfiorare il Sole, a poco più di un milione di chilometri».

Ma il vantaggio della Ison rispetto ad altre comete del suo tipo è che per la prima volta ci sono strumenti molto sofisticati e in orbita pronti ad osservarla e a registrarne l’evoluzione durante l’avvicinamento al Sole. C’è la sonda Soho (acronimo di Solar & Heliospheric Observatory), una missione in collaborazione internazionale tra Nasa ed Esa (Agenzia Spaziale Europea) per studiare il Sole in tutti i suoi aspetti; e c’è la Stereo (Solar TErrestrial RElations Observatory), terza missione del programma Nasa STP (Solar Terrestrial Probes program), che sono in costante monitoraggio del Sole. «Le apparecchiature a bordo di queste sonde raccolgono molti dati che vengono messi a disposizione anche degli astrofili, non solo degli astrofisici professionisti. Sono dati quasi in tempo reale: serve solo il tempo necessario per aggiornare sui rispettivi siti le immagini in base ai dati che arrivano dalle sonde e poi tutti possono usufruirne. Questi dati verranno poi messi a confronto con quelli raccolti durante il passaggio al perielio».

È stato proprio analizzando questi dati che ieri sera, nelle ore che precedevano il passaggio alla minima distanza dal Sole (previsto per le 19.37 ora italiana) che è stato osservato un abbassamento di luminosità della cometa: un indizio della possibile disgregazione imminente. In seguito gli stessi strumenti, nel momento in cui avrebbero dovuto vederla ricomparire dopo essere passata “dietro” al Sole, non l’hanno più vista, ed è iniziato il tam tam dei social network che annunciavano la sua fine.

Che cosa può essere successo? « Mentre la cometa si avvicina al Sole aumenta la temperatura a cui viene sottoposta e al perielio raggiunge il massimo; parliamo di valori che potrebbero raggiungere anche i 5000 °C. A ciò si aggiunge l’effetto dell’attrazione gravitazionale che può aumentare enormemente gli effetti di marea ai quali è sottoposto il suo nucleo ghiacciato. L’insieme dei due fenomeni può arrivare al punto da distruggere la cometa che si frammenta ed evapora. Lo si capisce perché non la si vede emergere dopo una fase in cui è fuori dalla portata degli strumenti; infatti Soho e gli altri, mentre passa dietro al Sole non riescono ad inquadrarla».  

Un’altra ipotesi è legata alla situazione del Sole, che è in un periodo di notevole attività che comporta la produzione di emissioni coronali (solar flare) che potrebbero aver investito la cometa. «Infatti, poiché tali emissioni avvengono in tutte le direzioni e in modo casuale, più la cometa si avvicina alla stella più aumenta il rischio che venga colpita, soprattutto nella coda, con effetti non ben prevedibili, ma non certo positivi».  

Quindi se è davvero evaporata non si vedrà più nulla? «Potrebbe anche succedere, come qualche volta è accaduto, che, una volta distrutto il nucleo, resti una coda di ioni che potrebbe restare visibile per qualche tempo; è stato il caso della C/2011 W3 Lovejoy, il cui nucleo non aveva resistito al passaggio ravvicinato vicino al Sole nel dicembre di due anni fa ma era sopravvissuta una lunga e ben visibile coda». 

Tra l’altro, dalle ultime notizie di questa notte sembra che qualche frammento sia sopravvissuto e continui il viaggio; ma senza effetti spettacolari e senza tutta quella ricaduta di emozioni e significati che avrebbe provocato una visione popolare prolungata.

Per questi però ci si può rifare; il cielo di questo fine 2013 non è così avaro e ha pensato di regalarci altri spettacoli cometari: non così eclatanti come poteva essere la supercometa Ison ma comunque significativi. Ci sono ben tre comete osservabili, se non proprio a occhio nudo almeno con un buon binocolo: sono la C/2013 R1 Lovejoy, visibile al mattino presto alta nel cielo nella zona del Leone; la 2P Enke, scoperta già a fine ‘700 e che ritorna quasi ogni tre anni e la C/2012 X1 Linear, scoperta un anno fa e che a fine ottobre ha iniziato una fase di rapida espansione della chioma.

(Mario Gargantini)