Il Parco Nazionale dello Stelvio, con i suoi 600 km2, è la più vasta area protetta della Lombardia: un luogo significativo per identificare e quantificare gli impatti del cambiamento climatico. A questo scopo è finalizzato il progetto SHARE Stelvio, sostenuto da Regione Lombardia attraverso la Fondazione Lombardia per l’Ambiente (FLA) e il Comitato EvK2Cnr: vi partecipano ricercatori di tre istituti del Cnr (ISE, IRSA e ISAC) e di quattro università lombarde (Statale, Politecnico, Uninsubria e Cattolica). I ricercatori hanno valutato estensione e variazioni di ghiacci e acque e hanno collocato strumentazione scientifica per monitorare l’atmosfera e rilevare evidenze ed effetti del cambiamento climatico. SHARE Stelvio afferisce al più grande progetto SHARE (Stations at High Altitude for Research on the Environment), un programma internazionale di monitoraggio ambientale in alta quota per il rilevamento di parametri atmosferici, criosferici e idrologici in diverse aree montuose del Pianeta e la messa a disposizione dei dati spesso in tempo reale a tutta la comunità scientifica. Il coordinatore scientifico del progetto italiano, Guglielmina Diolaiuti dell’Università degli Studi diMilano, ha anticipato a Ilsussidiario.net i principali risultati che saranno presentati all’ateneo milanese domani, in occasione della giornata che l’Onu dedica alla Montagna.
Questo progetto multidisciplinare per tre anni ha impegnato sul campo e nei laboratori 30 ricercatori lombardi: come vi siete mossi?
I ricercatori hanno rilevato e interpretato dati nei settori glacializzati del Parco, dove sono presenti ghiacciai tra i più estesi d’Italia (come il Ghiacciaio dei Forni, 11.36 km2) e permafrost (terreno e/o roccia perennemente congelati). Questo patrimonio freddo costituisce una risorsa idrica non trascurabile, anche per i bacini di media e bassa valle, concorrendo alla produzione di energia e alla mitigazione delle magre estive, rappresentando pertanto un bene prezioso per la Regione, oltre ad essere un importante fattore di richiamo turistico. Il Parco è divenuto un vero e proprio “osservatorio”, da dove dati ambientali di grande importanza sono inviati ai ricercatori che li utilizzano per validare modelli previsionali proiettando l’estensione futura dei ghiacci (la cosiddetta “criosfera”) in funzione del clima e delle sue variazioni attese. I risultati conseguiti sono molti e interessanti ma molti altri ancora arriveranno. Gli strumenti che abbiamo installato infatti per buona parte sono permanenti e stanno continuando ad acquisire preziosi dati che irrobustiranno le nostre conoscenze in materia di quantificazione degli impatti del Cambiamento Climatico su nevi e ghiacci.
Quali quindi i dati più interessanti emersi?
Il risultato più interessante è la quantificazione della riduzione dei ghiacciai presenti nel Parco con grande accuratezza ed elevata precisione e su un intervallo temporale molto esteso, oltre 50 anni. Le analisi condotte dai ricercatori dell’Università di Milano sulle foto aeree e le ortofoto fornite dall’ITT di Regione Lombardia hanno infatti permesso di determinare una riduzione della superficie dei ghiacci del 40% tra il 1954 e il 2007. Ighiacciai del Parco (43 apparati analizzati tramite remote sensing) hanno infatti perso 19.43 km2 (± 2%) e questo dato si può estendere a tutto il campione lombardo e più in generale italiano. Una perdita non trascurabile che ci deve far riflettere sul futuro di questa preziosa risorsa d’acqua dolce.
Questo dato è in linea con il regresso glaciale in atto in altri settori delle Alpi?
Sì, è in linea con quanto evidenziato in altri settori alpini da noi studiati; ma grazie a SHARE Stelvio e ai materiali messi a disposizione dalla Regione è stato possibile coprire una finestra temporale davvero ampia (oltre mezzo secolo) e quantificare con grande accuratezza non solo la contrazione glaciale complessiva ma anche i tassi di riduzione a scala ventennale e decennale. Questi dati hanno consentito la valutazione delle variazioni di superficie glaciale nei periodi 1954-1981, 1981-1990, 1990-2003 e 2003-2007. La perdita areale media annua è risultata sempre più intensa evidenziando pertanto un’accelerazione del fenomeno: si è infatti passati da una riduzione media di -0.24 km2/anno nel periodo 1954-1981 a -0.44 tra il 1981 e il 1990. Il valore medio è poi ulteriormente aumentato divenendo -0.48 nel 1990-2003 ed è giunto a -0.70 nel 2003-2007.
Quali fattori climatici hanno guidato questa intensa deglaciazione?
Le analisi dei dati meteorologici ultradecennali forniti da ARPA Lombardia hanno permesso di identificare tali fattori: un aumento delle temperature, con particolare evidenza in primavera (+2.97 °C in media dal 1981 al 2007) e una diminuzione della copertura nevosa in tutte le stagioni (-20 cm in media sull’anno, -29 cm in media in primavera, tra il 1971 ed il 2007). Un’analisi di correlazione sulle variazioni frontali delle coperture glaciali del Parco ha mostrato come siano soprattutto gli aumenti termici primaverili e la carenza di neve in tale periodo a influenzare la copertura glaciale. La prematura scomparsa del manto nivale espone infatti il ghiaccio a fusione, portando ad un più rapido decremento degli apparati glaciali.
La riduzione glaciale è destinata a proseguire? Potrebbero scomparire del tutto i ghiacciai delle Alpi Lombarde?
Sono state prodotte alcune proiezioni dell’evoluzione futura della copertura nivale e glaciale nel settore lombardo del Parco dello Stelvio, basate sugli scenari climatici dell’IPCC. Ovviamente le proiezioni rappresentano solo una delle possibili evoluzioni ma le tendenze al riscaldamento degli ultimi decenni non permettono di scartare queste ipotesi evolutive che suggeriscono una drammatica riduzione della criosfera regionale e alpina in generale. In particolare si è sviluppata la modellazione del flusso del Ghiacciaio dei Forni, allo scopo di valutarne la possibile evoluzione (fino al 2099) e il corrispondente contributo in termini idrologici. Le proiezioni suggeriscono per il 2030 una forte riduzione degli spessori, fino a quote elevate, 3000 m slm e più, con una variazione del volume glaciale fino al 25-30% per quell’anno ma con decrescita fino al 5-10% entro fine secolo, con sostanziale scomparsa del ghiacciaio.
Si è parlato di record mondiale e di perforazione profonda senza uguali per lo studio del permafrost; di che si tratta?
I ricercatori di Uninsubria hanno eseguito una perforazione record nella roccia che ha raggiunto la profondità di ben 235 m sotto la superficie. Il foro ottenuto nei pressi del Passo dello Stelvio, a circa 3000 m di quota, è stato poi strumentato con sensori di temperatura per rilevare in continuo la temperatura nel permafrost; i dati raccolti hanno rivelato un cuore freddo, sempre al di sotto di 0 °C, dalla superficie al fondo. Uno spessore così elevato di permafrost non era mai stato rilevato ed investigato sulle Alpi e più in generale in Europa. L’elaborazione dei primi anni di dati sta permettendo di ricostruire la storia del clima alpino degli ultimi 200-300 anni, cosa sinora impossibile a queste quote in Europa. La profondità raggiunta ha anche aperto nuovi scenari nell’impatto del permafrost sulla circolazione idrogeologica in alta quota, dato che si riteneva che sulle Alpi lo spessore massimo interessato potesse essere non più di 100 m. Vorrei sottolineare che il foro è ancora strumentato con sensori termici sino al fondo e che quindi il monitoraggio di questo sito unico, vero “cuore freddo delle Alpi”, è tuttora in corso e porterà alla raccolta di nuovi dati.
Ma avete analizzato solo il ghiaccio del Parco?
Altri risultati di grande interesse sono giunti dallo studio dei laghi. I ricercatori di IRSA e ISE hanno infatti prodotto il primo catasto dei Laghi del Parco, che ne descrive le caratteristiche e ne illustra l’evoluzione negli ultimi 50 anni. I laghi con una superficie maggiore di 800 m2 sono risultati ben 116 nel 2007; pertanto questo è uno dei territori con la più alta densità di laghi dell’intera catena alpina: un sito ideale per studiare l’impatto del cambiamento del clima. Anche qui i laghi sono sottoposti alla pressione esercitata dall’aumento della temperatura. Mentre il quantitativo annuo medio di precipitazione non ha subito una significativa variazione, le temperature aumentate dal 1954 in poi hanno incrementato l’evaporazione e portato alla scomparsa di laghi localizzati a bassa quota. Alle quote più elevate (oltre 2900 m) è stata invece rilevata la comparsa di molti nuovi ambienti che seguono la retrocessione dei ghiacciai; sono comunque laghi di natura decisamente effimera e sono destinati anch’essi a scomparire se il ritiro dei ghiacciai proseguirà. Nel complesso l’aumento di temperatura sta portando a una diminuzione di questa risorsa idrica sia in termini volumetrici che di numero di ambienti; perdendo così ecosistemi unici per molti animali e in particolare per gli anfibi la cui vita a quelle quote è legata a quei piccoli corpi idrici.
E le ricerche sull’atmosfera che risultati hanno dato?
La composizione dell’atmosfera alle alte quote del Parco e l’influenza che processi antropici e naturali hanno sulle concentrazioni di fondo sono state caratterizzate grazie a misure di particolato (distribuzione dimensionale, composizione chimica, concentrazione di black carbon) e ozono svolte dai colleghi dell’ISAC in un laboratorio appositamente attrezzato presso un rifugio del CAI Milano che si affaccia sul Ghiacciaio del Cevedale. Sono state inoltre eseguite (nel 2011) misure di ozono e particolato atmosferico alla superficie del vicino Ghiacciaio dei Forni con un sistema autonomo e automatico. Le condizioni di fondo mostrano concentrazioni medie di PM10 non superiori a 2 µg/m3; valori nel range medio-basso per siti di alta quota. Aumenti di PM10 sono stati osservati nel 30% del periodo di studio (valore medio 10 µg/m3), di questi l’85% è stato associato a trasporti di sabbia sahariana dal Nord Africa che ha registrato un valore massimo (media su 30 minuti) di 29 µg/m3 il 29 luglio 2012. Il restante 15% appare dovuto al trasporto, in regime di brezza di valle, di inquinanti emessi a scala locale/regionale. Durante questi episodi sono più elevate le concentrazioni di black carbon e ozono, considerati due importanti forzanti climatici a vita breve (alcune settimane) e in grado di influenzare il riscaldamento dell’atmosfera a scala regionale. La presenza di significative concentrazioni di aerosol assorbenti (black carbon e polveri minerali) in atmosfera, è potenzialmente rilevante poiché la deposizione di queste particelle su ghiaccio e neve ne riduce il potere riflettente, favorendone la fusione precoce.
I risultati ottenuti con SHARE Stelvio saranno disponibili per i cittadini?
Sì. Una delle priorità del progetto è stata di fornire a politici e cittadini dati e informazioni per gestire e pianificare il territorio montano e se possibile predisporre opportune strategie di adattamento agli effetti del Cambiamento Climatico. Per questo i risultati non solo sono stati sintetizzati in report tecnici periodici ma sono stati parzialmente disseminati in pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali di settore e verranno divulgati in forma semplificata per cittadini, studenti e insegnanti in tre volumi: il primo, dedicato ai Laghi e curato dal Cnr IRSA e ISE, verrà distribuito in versione digitale attraverso i siti istituzionali di FLA ed EvK2Cnr (la prima copia cartacea verrà consegnata domani alle autorità). Il prossimo volume, atteso per l’estate 2014, sarà dedicato ai ghiacci del Parco mentre il terzo riguarderà le ricerche atmosferiche in alta quota. Devo aggiungere che molti dati confluiranno in data base aperti ai cittadini, come i perimetri glaciali 1954, 1981, 2003 e 2007 che verranno a breve caricati sul Geoportale regionale e consentiranno a tutti gli interessati di visualizzare e analizzare le variazioni dei ghiacciai del Parco nell’ultimo mezzo secolo.