Quando si studia la biologia molecolare, capita spesso di imbattersi in fenomeni complessi, che le moderne tecniche di indagine rendono sempre più chiari nella loro articolazione finemente cesellata, in spazi e in tempi infinitesimali, certamente non accessibili all’occhio umano. Tra questi fenomeni rientra sicuramente il processo di duplicazione del Dna, che avviene in ogni cellula del regno dei viventi, ogni volta che questa si avvicina al momento della sua divisione in due. Come si sa, infatti, le cellule di ogni essere vivente, animale o vegetale o protista che sia, continuano a moltiplicarsi, per sostituire quelle vecchie.



Che dire allora di una molecola lunga due metri e compattata in dieci nanometri di spazio, come il Dna della cellula umana, capace di moltiplicarsi da sola? E capace di copiare tre miliardi e duecento milioni di lettere, senza sbagliarsi? C’è solo qualche refuso, giusto per dimostrare di non essere un robot infallibile e quindi di meritare ancora di più il nostro stupore.



Prima di avviare le procedure di divisione, infatti, la cellula raddoppia il proprio Dna in modo da distribuirlo in parti uguali nelle cellule figlie. Lo fa con sicurezza, a ritmo folle, perché non c’è tempo da perdere e non ci sono alternative o tentativi da esplorare; tutto è rigorosamente programmato, fin dall’inizio dei tempi.

La duplicazione del Dna è qualcosa di portentoso. Una macchina enzimatica potentissima rompe i legami a idrogeno che reggono l’impalcatura della elica e contestualmente produce nuovo Dna, uguale all’originale. Lo fa però con due strategie diverse: un filo di Dna viene copiato lungo la direzione di viaggio della macchina e l’altro nella direzione opposta. Non potrebbe fare diversamente perché i due fili di Dna non sono paralleli, ma antiparalleli, uno con la testa in su e l’altro con la testa in giù.



Perché sono disposti così? Perché solo questa configurazione consente alle basi azotate di trovarsi faccia a faccia e quindi di legarsi reciprocamente, torcendosi: il Dna è avvolto a doppia elica proprio grazie a questa asimmetria dei due filamenti: uno guarda in su e l’altro guarda in giù. Come se prendessimo i lacci delle scarpe e li avvitassimo uno attorno all’altro ma solo dopo averli disposti con la capocchia in su in un caso e in giù nell’altro.

E perché il Dna è avvolto a doppia elica e poi superavvolto a più riprese? Semplicemente per guadagnare spazio, per comprimere la maggior quantità di informazioni nel volume minore possibile (attenzione però: la molecola non sa che è fatta così per economizzare sul volume, né lo sa la cellula…).

Ma vediamo nei dettagli cosa accade nella cellula matura che deve dividersi. La zip della doppia elica si apre e i singoli nucleotidi nuovi, sparpagliati nel succo del nucleo della cellula, arrivano veloci sul posto, come fossero api attirate dai fiori. E si dispongono con ordine, in fila, aggiungendosi pezzo a pezzo all’estremità che cresce. In pratica, se i due filamenti originali sono antiparalleli come i lacci delle scarpe di cui parlavamo, anche le loro “copie” dovranno crescere con la stessa configurazione antiparallela. Il filamento a testa in su viene copiato da un nuovo filamento che procede con la testa in giù e la stessa cosa per l’altro.

Se quindi un filamento può essere copiato nella direzione in cui sta procedendo la potentissima macchina enzimatica che sta aprendo la zip, base azotata dopo base azotata, l’altro filamento dovrà necessariamente essere copiato nella direzione opposta. In altre parole, mentre ogni base azotata che si scopre del primo filamento viene prontamente “copiata” da una nuova base azotata complementare, lungo la direzione di viaggio dell’enzima che sta aprendo in due la molecola originale, la stessa cosa non può accadere alla base complementare del secondo filamento, che rimane spaiata.

Quindi per copiare il secondo filamento o si aspetta che tutto il Dna sia stato “aperto”, oppure si procede a segmenti, mano a mano che questi si creano durante l’avanzamento della Dna elicasi, che scioglie i legami a idrogeno e apre la zip. Un primer di Rna le si affianca in modo complementare e crea così uno zoccolo di partenza per il nuovo filamento di Dna che crescerà per apposizione di nuove basi azotate nella direzione opposta a quella nella quale sta viaggiando l’enzima. Sì, ci vuole un primer (=inizio) perché la Dna polimerasi non può partire da zero; parte solo se trova un primo pezzo cui agganciarsi.

Un filamento originale di Dna è detto dunque a replicazione “veloce” e l’altro è detto a replicazione “lenta” perché sarà fatto di tanti frammenti di Dna, nuovi, che si creano di volta in volta, mano a mano che si scoprono nuove basi azotate spaiate. Da notare che la Dna polimerasi si “sposta”, appena terminato un frammento, per riprendere posizione retrograda, vicino alla forcella che si apre di continuo, e formare quindi un nuovo frammento. I frammenti vengono poi saldati insieme in un unico nuovo filamento di Dna. Sono i famosi frammenti di Okazaki, dal nome dello scienziato giapponese Reiji Okazaki che li ha scoperti nel 1966. 

 È quindi incredibile osservare la replicazione del Dna in una animazione disponibile su youtube: si vede la doppia elica originale che viene aperta da una pallina che avanza e contestualmente una nuova doppia elica che cresce per apposizione di nuove basi azotate a due estremità opposte, una è nella direzione di avanzata e l’altra nella direzione retrograda.

Il tutto grazie alla presenza di nucleotidi pronti nel succo nucleare, di Atp ricco di energia da liberare, di Rna che funge da primer e infine di enzimi complessi come la Dna polimerasi, la vera “testa intelligente” di tutto il processo. Da notare inoltre che l’enzima ha anche la funzione di “correttore di bozze”, per cui sintetizza nuovo testo ma anche lo corregge se presenta mutazioni.

È uno spettacolo incantevole, che ci lascia senza parole: sul palcoscenico più piccolo e più nascosto del mondo, quello del nucleo della cellula, va in scena un capolavoro finemente regolato in ogni frazione, dove tutti gli attori sono co-protagonisti e, con ritmo incalzante e perfettamente sincronizzato, riproducono se stessi all’infinito. Senza capire quello che fanno, perché sono solo molecole e soprattutto senza mai svelare il nome del regista, che si nasconde bene e non appare mai.

 Et voilà: in pochi minuti copiati tre miliardi e duecento milioni di battute, senza che nessuno possa vederlo. Come se la complessità fosse scontata. Una bella meditazione sulla potenza e sulla grandezza del Logos che sta per nascere in mezzo a noi, anche quest’anno, ma nascosto in una grotta, perché solo chi vuole possa vederlo davvero.