Nella sua lunga storia la Terra ha sperimentato continui cambiamenti nelle condizioni climatiche che si sono a loro volta riflesse sulla composizione delle comunità degli organismi viventi su di essa. Le stratificazioni geologiche e paleontologiche chiaramente documentano questa lunga e continua storia di cambiamento mentre, d’altra parte, la vita umana è troppo breve perché durante il suo corso possano essere sperimentate apprezzabili variazioni nelle condizioni ambientali. Così, mentre da un lato abbiamo una teorica certezza di un continuo cambiamento, dall’altro sperimentiamo praticamente la sensazione di una grande stabilità.
Non tutti gli esseri viventi però sono presenti sul pianeta per un lasso di tempo breve come la vita umana. Alcuni grandi alberi sono sopravvissuti per tempi così lunghi che alla loro ombra si è svolta l’intera parabola della società occidentale mentre nei loro strati di lignina rimanevano incorporati gli elementi chimici con i peculiari rapporti isotopici presenti al momento della loro incorporazione.
Anche le profondità marine ospitano foreste costituite da grandi coralli a scheletro chitinoso, elastico e flessibile che, a differenza di quanto accade sulle terre emerse, non sono vegetali ma animali. L’aspetto ibrido di questi organismi, a metà strada tra zoologia e botanica, è rimarcato dal nome zoofiti (animali-piante) con il quale sono stati conosciuti fino a metà ‘800 e da quello di antozoi (animali-fiore) ancora in uso oggi per una consistente parte di essi.
Le somiglianze tra piante e coralli non si fermano però alla morfologia: anche gli alberi del mare sono organismi a crescita lenta e di eccezionale longevità. Grazie al metodo del radiocarbonio sono stati datati i loro scheletri chitinosi che hanno mostrato inaspettatamente età plurimillenarie. Alcuni ricercatori hanno allora pensato che, come avviene per la lignina presente negli anelli di accrescimento degli alberi, anche i coralli potessero consentire una registrazione precisa e affidabile delle variazioni dell’ambiente circostante lungo la loro intera storia.
Un recente articolo apparso su Nature descrive la composizione isotopica dell’azoto presente ai diversi livelli di una colonia di corallo raccolta a grande profondità nell’arcipelago delle Hawaii. Questo studio ha permesso di chiarire un apparente paradosso. Nel Pacifico settentrionale l’ammontare della produzione primaria, cioè la quantità di carbonio organicata dal fitoplancton tramite la fotosintesi, sembra aumentata mentre la quantità di nutrienti presenti nell’acqua (principalmente azoto) è in diminuzione. La soluzione del mistero sta in un graduale cambiamento nella composizione del fitoplancton nel quale progressivamente aumenta la componente di batteri fotosintetici capaci di utilizzare direttamente l’azoto atmosferico così come fanno fave e lupini tra le piante terrestri, a scapito delle microalghe che utilizzano l’azoto presente nei nitrati che provengono dal fondo del mare tramite correnti ascensionali.
La sostanza organica prodotta dal fitoplancton risulta marcata perché l’azoto di origine atmosferica ha una composizione isotopica diversa da quello che risale dal fondo marino. Il bello è che, grazie a questa marcatura, è possibile seguirne il destino durante il passaggio ai piccoli crostacei che si nutrono di fitoplancton e che sono a loro volta il cibo dei grandi coralli che vivono nelle profondità marine. L’azoto marcato entra a far parte della chitina dello scheletro corallino che può essere datata e analizzata mostrando, strato dopo strato, la storia della sua composizione su un lasso di tempo di alcune migliaia di anni. Il registro isotopico, presente negli scheletri chitinosi dei coralli, ci ha preparato un’altra sorpresa. Dopo un migliaio di anni di relativa stabilità climatica, durante il quale la principale fonte di azoto per il fitoplancton dell’Oceano Pacifico Settentrionale era dovuta ai nitrati provenienti dal fondo oceanico, il passaggio verso microalghe capaci di fissare l’azoto atmosferico è avvenuto circa 150 anni fa, in corrispondenza con il termine della cosiddetta Piccola Era Glaciale.
Questa scoperta, mentre da un lato pone gli attuali cambiamenti climatici su una scala temporale più ampia del previsto, dall’altro ci mostra la pervasività di questi cambiamenti a tutti i livelli degli ecosistemi.
I grandi coralli, che come gli alberi occupano per millenni la stessa porzione di ambiente, sono viventi registri dei cambiamenti climatici ma anche testimonianza della capacità degli esseri viventi di adattarsi a così ampie variazioni dell’ecosistema.