E’impossibile parlare di Solstizio d’Inverno, senza parlare del mistero di NewGrange. Non è famoso come Stonehenge, ma è altrettanto affascinante per tutti i cultori dell’esoterismo e degli antichi culti pagani. Come Stonehenge, forse ancora di più, è legato in particolare ai vari solstizi, quello dell’inverno soprattutto che accade oggi. Newgrange sorge in Irlanda, nella parte superiore di una collina a circa otto chilometri dalla città di Drogheda nella valle di Boyne. E’ questa una zona ricca di testimonianze archeologiche e storiche. A Newgrange ad esempio sono stati rinvenuti quasi mille frammenti di ossa animali e umane, catene e anelli d’oro e anche diverse monete di epoca romana (che in Irlanda non giunsero mai ma testimoniano evidentemente un fiorente scambio commerciale). Newgrange è la testimonianza di uno dei più interessanti e meglio conservati siti del periodo neolitico, definito dagli archeologi “tomba a passaggio”. Nella vallata esistono altri complessi funerari tra di essi collegati in qualche modo e ci sono anche due pietre megalitiche. Sarebbe stato costruito intorno al 3200 avanti Cristo, seicento anni prima cioè delle piramidi egiziane e mille anni prima di Stonehenge. Per secoli era rimasto sepolto fino a quando nel 1699 un proprietario terriero della zona trovò i suoi resti. Nel 1972 nuovi studi fecero capire come l’ingresso fosse rivolto verso il punto in cui il Sole viene a sorgere il giorno del solstizio d’inverno. Dunque una costruzione pensata in modo astronomico. In questo giorno infatti la luce del sole entra nel passaggio di ingresso e scorre per tutto il corridoio fino a illuminare la sala interna nel tempo di soli 17 minuti. Quindi per tutto il resto dell’anno l’interno torna nel buio più assoluto. Il fascio di luce irrompe verso le 9 del mattino e una volta entrato si divide in due, un raggio colpisce una pietra in cui è incisa una triplice spirale e quindi “accende” tutte le camere interne. Ovviamente questo evento richiama ogni anno centinaia di turisti.



I “Saturnali” erano un ciclo di festività religiose – che andava dal 17 al 23 dicembre – dell’antica Roma dedicata alla celebrazione del dio Saturno e dell’età dell’oro. Il lasso temporale fu fissato dall’imperatore Domiziano. I cittadini romani festeggiavano la divinità imbandendo ricchissimi banchetti, facendo sacrifici e scambiandosi dei semplici doni di carattere simbolico denominati strenne. In occasione dei “Saturnali” non era in vigore l’ordine sociale: gli schiavi, per esempio, erano (seppur temporaneamente) considerati e trattati come persone libere. In occasione della festa veniva eletto, con un’estrazione, un “princeps” che aveva poteri illimitati. Il “princeps” veniva vestito con colori forti e sgargianti (il rosso, colore degli dei, dominava) e con una maschera grottesca. Ciò perché il “princeps” doveva rappresentare la personificazione di una divinità degli inferi che si poteva identificare in Saturno o Plutone, preposti alla custodia delle anime dei trapassati, ma anche protettori delle campagne e dei raccolti. Secondo la tradizione romane, queste divinità sbucavano fuori dal suolo e vagavano in un corteo per tutto l’inverno, ovvero quando la terra era a riposo in quanto incoltivabile per il fretto. Queste divinità dovevano quindi essere appagata con doni e feste che li avrebbero poi indotti a far ritorno negli inferi, favorendo buoni raccolti (Saturno, il dio contadino). Si dava vita, in sostanza, a una situazione carnevalesca. Catullo definì i Saturnali “i giorni più belli dell’anno”. Lo scambio di doni che caratterizzava questo rito ha molto in comune con quanto avviene nel Natale. Ma Saturno è anche il dio che regna sulla nuova Età dell’Oro. E’ un dio che spegne il passato ed accende il futuro; precede il solstizio d’inverno, regnando sulle contraddizioni solstiziali: euforia, confusione, desiderio di rinnovamento, nostalgia di qualcosa che muore, attesa di quel che arriverà.



Lo “Yule”, nella tradizioni pagane e neopagane germaniche e celtiche, è la festa in occasione del soslstizio d’inverno; simboleggia uno degli otto giorni solari – detti “sabbat”. Per quanto riguarda l’etimologia del termine “Yule”, non ne sono chiare le origini. Si pensa che la parola possa deerivare dal norreno “Hjol” (che significa ruota) nel senso che la ruota dell’anno, nel solstizio d’inverno, si trova al suo estremo inferiore da dove può solo risalire. Secondo invece l’analisi dei linguisti “Jol” potrebbe essere stata ereditata dalle linghe germaniche e pre-indoeuropee. Infatti nei linguaggi scandinavi, il termine “Jul” significa, contemporaneamente, Yule e Natale. Il termine si è così diffuso nelle lingue finniche (che non derivano però dal ceppo germanico) per denominar proprio il Natale (che in finlandese si dice Joulu). La celebrazione dello Yule coincideva dunque (in epoca precristiana) con il solstizio invernale; ma i documenti storici in merito non permettono una ricostruzione e una mappatura completa del rito. Le poche notizie in merito parlando di un peridio contraddistinto dal riposto e dalla danze che si diffuse enormemente in Islanda. Nel corso delle celebrazioni veniva sacrificato un maiale in onore del dio norreno Freyer. Non è dunque un caso che nella tradizione scandinava nel giorno di Natale si mangia carne di maiale. Secondo alcune tradizioni si commemora la morte dello Holly King (“Re Agrifoglio”) che rappresenta l’anno vecchio e il sole al suo declino, per mano del suo successore, Oak King (“Re Quercia”), che simboleggia invece l’anno nuovo ed il sole che inizia la sua ascesa. In altre tradizioni si celebra la nascita del nuovo dio Sole, secondo l’antica festività Romana del Sol Invictus. Il rituale tradizionale prevede una veglia celebrata dal tramonto fino all’alba successiva (la notte più lunga dell’anno) per assicurarsi che il sole sorga nuovamente. Fra i sabbat neopagani, Yule è preceduto da Samahain e seguito da Imbolc.



Il “Sol Invictus”, riduzione della formula estesa “Deus Sol Invictus”(“Dio Sole invitto”) è un termine religioso che – contrapponendosi al precedente culto agreste del “Sol Indiges” (“Sole nativo” o “Sole invocato”) – deriva dalla tradizione del tardo Impero Romano per indicare le divinità di Helios , El-Gabal e Mitra. Il rito, con tutta probabilità, ha origini in Siria e in Egitto dove le celebrazioni per la nascita del Sole erano un momento di profonda solennità: ci si recava nei santuari e a mezzanotte veniva annunciato che la Vergine aveva dato alla luce il Sole, che veniva rappresentato come un infante appena nato. Secondo le testimonianza di Epifanio di Salamina – apologeta cristiano – in diverse città egiziane e arabe i pagani davano vita a feste in cui veniva celebrata la vittoria della luce sulle tenebre grazie alla nascita del dio Aion. Fu l’imperatore romano Eliogabalo a dare grande risalto alle suddette celebrazioni imponendo l’osservanza del culto “Elagabalus Sol Invictus”; lo stesso imperatore fece erigere, sul colle Palatino, un tempio dedicato alla divinità fece. Però con la sua morte, nel 222, il culto cessò di essere coltivato. Il “Sol Invictus” è legato a doppio filo al culto di Mitra e allo stesso dio Marte. In seguito Aureliano vide nel culto del “Sol Invictus” un forte elemento di coesione in quanto, seppur in diverse forme, era presente in tutte le regioni dell’impero. Fu lo stesso imperatore, attorno al 274, a consacrare il templio del Sol Invictus. Si pensa che il giorno prescelto sia stato il 25 dicembre, occasione del “Dies Natalis Solis Invicti” (“Giorno di nascita del Sole Invitto”), facendo, di fatto, del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. La festa del Dies Natalis Solis Invicti divenne con il passare del tempo sempre più importante in quanto si affiancava alla festa romana più antica, i Saturnali. Importante sottolineare come l’imperatore Costantino sia stato un cultore del Dio Sole; egli raffigurò il “Sol Invictus” sulle monete, con l’iscrizione “Soli Invicto Comini”, ovvero “Al compagno Sole Invitto”. Inoltre, con un decreto del 321, l’imperatore stabilì che il primo giorno della settimana (il giorno del Sole, Dies Solis) doveva essere dedicato al riposo. Infine, quando Costantino si convertì al cristianesimo decise di far coincidere la nascita di Gesù con la festività del “Sol Invictus”.

Ci siamo, oggi alle 17.11 si verificherà il solstizio d’inverno boreale “il momento in cui il Sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, il punto di declinazione minima”. Google lo ricorda con un simpatico Doodle animato che vede due mani impegnate a “lavorare a maglia” per reallizzare un lunghissimo guanto di lana multicolore che va a comporre la scritta del logo del motore di ricerca. Il 21 dicembre sarà quindi il giorno dell’anno 2013 in cui la notte durerà più a lungo proprio per effetto della posizione del Sole. Il fenomeno non si verifica sempre alla stessa ora infatti ritarda di circa sei ore ogni anno, ma ogni 4 anni si verifica un riposizionamento all’indietro a causa dell’introduzione degli anni bisestili, adottati per evitare un progressivo disallineamento delle stagioni con il calendario. Da sempre questo fenomeno ha rappresentato nei secoli qualcosa di “magico” e di “speciale”, un’occasione di festività come ad esempio “il Sol Invictus” per i pagani, “i Saturnalia” nell’antica Roma o il Natale per il Cristianesimo.