Inizia una settimana che avrà come momento centrale il Natale: un evento che è simbolo per eccellenza della luce e che getta luce su tutto, attraversando il cosmo e la storia. La luce ha un ruolo centrale nella conoscenza scientifica. È proprio prevalentemente attraverso lo sguardo e la visione che la realtà raggiunge il soggetto, suscitando un contraccolpo che mette in moto la ragione e fa desiderare di continuare il rapporto con l’oggetto mediante un’indagine sistematica come quella condotta dalle scienza. È importante notare che questa dinamica non si manifesta solo all’inizio della ricerca: luce e visione sono determinanti in tutto lo svolgimento dell’attività scientifica. Basti pensare alla funzione decisiva che l’osservazione riveste in tutte le discipline: nel paziente lavoro di analisi e di catalogazione degli antichi, fino alle sofisticate elaborazioni computerizzate di oggi, in primo piano è sempre la sensibilità, l’attenzione e la precisione dell’osservatore umano che riesce a far affiorare un particolare sottile, a cogliere un dettaglio significativo, o a ricavare informazioni da una visione d’insieme.



Tutto ciò con la tensione, oggi purtroppo abbandonata e contraddetta in certi settori dove la scienza si riduce a tecnoscienza, a riconoscere e a rispettare i dati della realtà, a fondare le conoscenze su ciò che la natura ci mette gratuitamente a disposizione e non a costringere i fatti a inserirsi nelle nostre teorie. La luce stessa è un “dato” da rispettare, forse il primo dato apparso nell’universo; e comunque il dato che ci permette di ottenere tutti gli altri dati. Ma il mondo della scienza è sensibile anche alla specifica luce che viene dal Natale. Lo ha espresso efficacemente papa Francesco (insieme al suo co-autore Benedetto) nell’enciclica Lumen Fidei, al punto 34: «La luce della fede, in quanto unita alla verità dell’amore, non è aliena al mondo materiale, perché l’amore si vive sempre in corpo e anima; la luce della fede è luce incarnata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. Essa illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di armonia e di comprensione sempre più ampio. Lo sguardo della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile.



La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la natura è sempre più grande. Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza». C’è quindi un’alleanza intrinseca tra scienza e fede, che non richiede particolari elaborazioni teoriche per essere stabilita e che si documenta nelle feconda “illuminazione” che vivono coloro che la sperimentano. Ci sono stati (e ci sono oggi) grandi scienziati che hanno incarnato questa prospettiva in modo evidente e che lo hanno espresso esplicitamente in più modi.

Uno originale e significativo è quello del grande fisico scozzese James Clerk Maxwell, il padre dell’elettromagnetismo e della moderna teoria della luce, che ha messo in versi il suo pensiero e le sue esperienze umane e scientifiche (abbiamo già commentato la felice iniziativa delle Edizioni Archivio Dedalus di pubblicare nella traduzione italiana tutte le poesie da lui composte tra il 1844 e il 1878). Così il giovane Maxwell, nell’aprile 1853, sviluppa la sua meditazione serale sull’impostazione che stava dando alla sua vita – era al Trinity College di Cambridge dove si sarebbe laureato l’anno seguente – e delinea il suo “programma di ricerca”: «Insegnami a leggere le Tue opere/ Di modo che la mia fede, – acquistando nuova forza -/ Possa procedere da mondo a mondo,/ Perseguendo la feconda ricerca della saggezza;/ (…) Donami amore per rintracciare correttamente/ il Tuo in ogni cosa creata,/ Predicando a una razza redenta/ Dalla Tua misericordia rinnovata,/ Finché sazio della tua pienezza,/ Ti guarderò faccia a faccia/ E con infaticabile Ardore/ Canterò le glorie della tua grazia». Un programma che sembra anticipare quanto sempre Papa Francesco ha indicato nella Evangelii Gaudium (p. 132): «Quando alcune categorie della ragione e delle scienze vengono accolte nell’annuncio del messaggio, quelle stesse categorie diventano strumenti di evangelizzazione; è l’acqua trasformata in vino. È ciò che, una volta assunto, non solo viene redento, ma diventa strumento dello Spirito per illuminare e rinnovare il mondo».