Tutti noi sappiamo per esperienza quanto tempo ci vuole per portare a ebollizione l’acqua in cui vogliamo cuocere gli spaghetti. La sua durata dipende, ovviamente, da diversi fattori, quali ad esempio: la quantità d’acqua che si vuole riscaldare, l’intensità della fiamma, il tipo di pentola usato e così via, ma normalmente è un intervallo temporale che rimane dell’ordine di alcuni minuti. Ovviamente, diminuendo la pressione esterna o usando un forno a microonde, questo tempo potrebbe ridursi notevolmente. 



Una cosa però è certa: difficilmente si riuscirebbe a battere il record che pensano di stabilire gli scienziati del “Center for Free Electron Laser Science” di Amburgo (Germania). Il gruppo di ricercatori tedesco ha infatti scoperto una nuova tecnica di riscaldamento che permetterebbe (il condizionale è d’obbligo poiché per ora si tratta solo di una previsione teorica) di portare una piccola quantità d’acqua fino a 600 °C in meno di mezzo picosecondo (vale a dire in meno di mezzo milionesimo di milionesimo di secondo). Si tratta, effettivamente, di un tempo molto più piccolo del classico “un batter di ciglia”. Basti pensare che, confrontato con un secondo, mezzo picosecondo equivarrebbe a un secondo confrontato con 32.000 anni! 



Secondo gli scienziati di Amburgo, per provocare questo riscaldamento ultrarapido dell’acqua è necessario utilizzare un impulso molto intenso di radiazione elettromagnetica nella regione dei TeraHerz (vale a dire un impulso di luce con frequenza compresa fra quella delle onde radio e quella dell’infrarosso). Facile a dirsi… ma alquanto difficile a farsi! Per generare un impulso luminoso siffatto è, infatti, necessario ricorrere ad un laser a elettroni liberi (in gergo FEL, Free Electron Laser), un dispositivo di notevoli dimensioni, che ricorda più un acceleratore di particelle che un comune laser da laboratorio. 



La caratteristica peculiare di questa sorgente di luce coerente consiste, infatti, nel differire dalle normali sorgenti laser per il fatto che la radiazione non viene emessa dagli elettroni di un sistema atomico opportunamente eccitato, bensì da un fascio di elettroni liberi accelerati a velocità prossime a quella della luce e fatti interagire con una struttura magnetica denominata “ondulatore magnetico” (wiggler). Oscillando in su e in giù lungo il percorso della struttura magnetica, gli elettroni vengono accelerati in modo tale da irraggiare onde elettromagnetiche la cui frequenza dipende da alcuni parametri sperimentali, quali: l’energia degli elettroni e l’intensità del campo magnetico attraversato. Variando questi due parametri si potrebbero ottenere, in linea di principio, emissioni laser di qualsiasi lunghezza d’onda (a differenza dei comuni laser, che invece emettono solo radiazioni a frequenze ben definite).         

L’interazione fra l’impulso laser e le molecole d’acqua è stata valutata dai fisici di Amburgo ricorrendo a complesse simulazioni al computer che hanno richiesto più di 200.000 ore di tempo-processore, sfruttando massicciamente le possibilità di calcolo parallelo offerte dallo Julich Supercomputer Center (dove sono presenti i più potenti computer esistenti in Europa). Si stima che se le simulazioni fossero state effettuate da una normale macchina a singolo processore, sarebbero stati necessari circa venti anni di calcolo ininterrotto per ottenere lo stesso risultato!  

Sulla base delle simulazioni così realizzate, gli scienziati tedeschi hanno stimato che il metodo da loro proposto permetterebbe di portare a 600 °C circa un nanolitro (un miliardesimo di litro) d’acqua ad ogni impulso laser. Anche se questa quantità d’acqua potrebbe sembrare estremamente piccola, in realtà è più che sufficiente per portare a termine molti esperimenti d’interesse (per confronto una goccia d’inchiostro prodotta da una stampante ink-jet è circa 1.000 volte più piccola). 

Come spiegano gli autori della ricerca in una recente pubblicazione sulla prestigiosa Angewandte Chemie, l’acqua non è solvente passivo, ma gioca un ruolo molto importante nella dinamica di molti processi chimici e biologici. La possibilità di riscaldare in un tempo così breve un elevato numero di molecole d’acqua permetterebbe di fare iniziare il processo chimico in esame contemporaneamente in tutte le molecole coinvolte e così riuscire ad osservare correttamente come evolve nel tempo la reazione. Quest’ultimo passaggio (l’analisi della reazione) potrebbe essere realizzato sfruttando impulsi X ultracorti generati da un nuovo laser a elettroni liberi a raggi X (denominato European XFEL) lungo 3.4 chilometri, attualmente in fase di costruzione nello stesso campus di Amburgo.