L’intervista pubblicata recentemente su El Mundo a Peter Higgs, l’“inventore” della particella scoperta al Cern di Ginevra nel luglio scorso, e la ripresa che ne ha fatto il Guardian suggeriscono alcune osservazioni ed una domanda.
Innanzitutto sorprende la semplicità con cui Higgs affronta il tema scienza-religione. Higgs, che si definisce non credente, fa notare come la presunta incompatibilità tra scienza e religione non abbia alcun fondamento, come è dimostrato ad esempio dalla esistenza di numerosi scienziati credenti, molti dei quali suoi colleghi ed amici. Egli fa anche notare come la polemica sia fomentata da fondamentalismi da entrambe le parti in causa. Lo stesso Richard Dawkins, secondo Higgs, cade nella trappola del fondamentalismo quando nella sua battaglia contro tutte le religioni le riduce al fondamentalismo evangelico. Queste e altre osservazioni di Higgs mostrano come evitando i fondamentalismi non ci sia incompatibilità tra scienza e religione. Inoltre, nella loro semplicità e ragionevolezza, suscitano una domanda: ma allora perché tanta polemica?
Una risposta esauriente a questa domanda dovrebbe affrontare molti fattori. Qui ci limitiamo ad accennarne uno che però ci sembra centrale. Esso riguarda il modo in cui usiamo la nostra ragione. Proviamo a introdurlo con un esempio considerando l’esperienza umana del sorriso, un fenomeno fondamentale nella vita di ogni essere umano. Basti pensare al sorriso ricco di incoraggiamento dei genitori per il figlio che fa i primi passi, al sorriso che accompagna lo sbocciare di un affetto, o al sorriso carico di memoria di chi rivede un caro vecchio amico dopo tanti anni. Che cosa sarebbe la nostra vita senza queste esperienze?
Ora guardiamo al sorriso con gli occhi della ragione scientifica (e in questo esempio ci limitiamo a considerare le scienze sperimentali, che sono quelle spesso contrapposte a uno sguardo religioso nella polemica di cui sopra). Questa ragione vede nel sorriso una modifica dei tratti di un volto umano causata da una contrazione di alcuni muscoli, che deriva da impulsi nervosi, a loro volta originati da una certa attività cerebrale. Questa analisi del sorriso, il cui dettaglio potrebbe essere espanso enormemente, è estremamente importante.
Quanto più capiamo queste dinamiche, tanto più siamo in grado di ridare il sorriso, grazie alla chirurgia, a chi ad esempio ha avuto il volto sfigurato da un incidente. E forse un giorno la comprensione dei processi neuro-cerebrali renderà possibile restituire il sorriso a chi ha subito gravi danni cerebrali. Come scienziato, sarei contento di lavorare per restituire a qualcuno il sorriso. Ma l’esperienza umana del sorriso non si limita a quanto la ragione scientifica riconosce. Un sorriso ha anche un significato, e la nostra vita è ricca di esperienze che ci dicono quanto sia importante questo significato: la medesima contrazione di muscoli può indicare ironia, tenerezza, sarcasmo, compiacimento. Il fatto che la nostra ragione sia in grado di cogliere i diversi significati del sorriso dimostra come le sue capacità vadano oltre i confini della ragione scientifica. Negli ultimi anni Benedetto XVI ha invitato più volte ad ampliare i confini della ragione. Nel suo famoso discorso a Ratisbona, il Papa ha fatto un vero elogio della ragione, ricordando che «quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati». Ha però anche ripetuto la necessità di un «allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza». Al contrario gli argomenti spesso addotti nelle polemiche scienza-religione tendono ad assumere la ragione scientifica-sperimentale come l’unica sorgente di conoscenza affidabile. Questa riduzione accumuna entrambe le parti in causa: da una parte Dawkins e i nuovi atei (cfr. B. S. Gregory Science Versus Religion? The Insights and Oversights of the New Atheists), dall’altra un certo Intelligent Design (cfr. Michael J. Behe, La scatola nera di Darwin, Alfa & Omega, 2007).
Il Disegno Intelligente propugnato dall’americano Discovery Institute è di fatto un tentativo di dimostrare scientificamente l’esistenza di Dio. Per esempio, esso afferma che la complessità dell’occhio umano non sarebbe comprensibile senza ipotizzare un intervento divino nella dinamica evolutiva. Questo tentativo di dimostrare Dio non solo corre il rischio di essere falsificato, quando la scienza sarà in grado di spiegare ciò che ora non comprendiamo, ma soprattutto tende a stabilire la ragione scientifica come unico metodo di conoscenza, e a sopprimere lo stupore e la meraviglia per quelle dinamiche che hanno permesso lo sviluppo dell’occhio e di tutto il resto del corpo umano. Non è forse più umano uno sguardo che comprende l’approccio scientifico, filosofico, artistico, senza lasciare che una parte sopprima l’altra, ricco di uno stupore che può diventare domanda sull’origine di tutte le cose? Se non allarghiamo la ragione possiamo perderci in polemiche inutili e corriamo il rischio, ben più grave, di non riconoscere qualche prezioso sorriso tra le pieghe della vita.