Sembra che il tempo porti con sé una sorta di coperta grigia, che lascia cadere sopra tutto quello che non muta al suo ritmo, una patina grigia e maleodorante. Diverse tecniche sono state tentate nei secoli per sfidare il degrado. I giorni, però hanno proseguito la loro inclemente cavalcata, concedendo a noi di potere talvolta ammirare solo le ombre del genio passato. Se è vero che non è possibile porre un freno al tempo e alla sua azione, da alcuni anni un gruppo costituito da scienziati, storici e restauratori, ha trovato un modo per ridare luce alle opere d’arte antiche. I primitivi sistemi di pulitura meccanica per le opere d’arte lasciavano spesso un segno, come una cicatrice che ricorda il male subito. Dal 1970 sono iniziati i primi tentativi più delicati di utilizzare enzimi in grado di sciogliere sostanze a base lipidica e rapidamente si è arrivati a stilare dei protocolli di lavoro, estremamente dettagliati, per il restauro e la preservazione delle opere. Durante il prosieguo di questi studi, un gruppo di geniali microbiologi ha tentato il coinvolgimento diretto di alcuni ceppi batterici sfruttando le loro capacità di produrre sostanze utili allo scopo.



È stato immediatamente affrontato il problema della contaminazione dovuto all’utilizzo di colonie in ambiente ma sono stati sviluppati sistemi per il controllo e confinamento dei batteri. Recentemente sono state così bio-ripulite parti di uno degli affreschi del Camposanto Monumentale di Pisa utilizzando lo Pseudomonas stutzeri in grado di sciogliere la colla che era stata usata per proteggere l’opera, ma che nel tempo si era intrecciata con i pigmenti e rischiava di danneggiare per sempre le immagini. Il ceppo usato ha assolto al suo compito in tempi rapidi, riducendo al minimo il rischio d’alterazione per la raffigurazione. L’operazione è stata eseguita su diverse zone dell’affresco, mantenendo i batteri sulla superficie per un periodo di 10-12 ore. Lo Pseudomonas degrada la maggior parte della sostanza organica e, per la rimozione dei residui, sono state utilizzate altre proteine enzimatiche. Finito il trattamento, i batteri applicati sono stati rimossi dalla superficie, per evitare che potessero intaccare l’affresco. Questo metodo, oltre ad essere innovativo ed efficiente, si è rivelato anche economico, quindi applicabile per la biopulitura di superfici più estese. 



Altri protagonisti nel campo del bio-restauro sono due batteri del genere Desulfovibrio, D. desulfuricans e D. vulgaris: la loro azione evita che il carbonato di calcio passi a solfato di calcio che forma patine scure che, come artigli di spettri, si attaccano al marmo di loggioni, monumenti e sculture offuscandone la candida lucentezza. Sono causate dall’esposizione a vento, pioggia e polveri ricche di zolfo e anidride solforosa dovute agli scarichi di automobili e industrie. I Desulfovibrio hanno una preferenza per i composti a base di zolfo e li rimuovono, arricchendo lo strato di marmo con nuovo carbonato di calcio, replicando il processo, che in acqua e nei sedimenti marini avviene continuamente: la precipitazione di nuovo carbonato di calcio.



Una delle imprese più importanti che ha visto in azione questi batteri è stato un intervento di pulitura della base della Pietà Rondanini, che sembrava irrimediabilmente compromessa. Grazie al coraggio dei curatori e all’utilizzo delle tecniche di biopulitura, la Pietà Rondanini è risorta, proprio come suggerisce il messaggio intrinseco nella scultura. Viene scritto, quindi, un nuovo capitolo della storia del restauro che lega natura e arte. Se è vero, come intuisce Dostoevskij, che sarà la bellezza a salvare il mondo, siamo fortunati ad aver trovato un modo per preservare alcune tra le maggiori espressioni della bellezza, grazie all’aiuto del più improbabile artigiano nella bottega della storia.