Costruire una mappa tridimensionale della Via Lattea: è l’obiettivo della missione spaziale Gaia, una missione di primo piano nei programmi dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) per la quale il contributo italiano è rilevante. Se ne parla oggi a Roma, nel workshop “L’Italia in Gaia”, dedicato appunto al coinvolgimento italiano nella missione e organizzato congiuntamente dall’Unità Esplorazione e Osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dalla Direzione Scientifica dell’Istituto Italiano di Astrofisica (Inaf).



Il responsabile del Gruppo di Coordinamento italiano, Mario Lattanzi, dell’Osservatorio Astronomico di Torino, ha anticipato a Ilsussidiario.net i principali contenuti dell’incontro che ha lo scopo «di illustrare l’impegno della comunità nazionale nella fase operativa della missione e quindi favorire una visione strategica nazionale di medio e lungo termine in vista dell’impatto che questa missione avrà sul sistema ricerca mondiale nei campi della fisica del Sistema Solare, dei pianeti extrasolari, dell’astrofisica stellare e galattica, della cosmologia e fisica della gravitazione».



La missione Gaia si colloca nella linea tematica della astrometria, cioè dell’astronomia fondamentale che si occupa di determinare posizione e moti delle stelle, di compilare grandi cataloghi e di studiare la dinamica della Galassia. È la naturale conseguenza della missione denominata Hipparcos e conclusasi nel 2007 con la pubblicazione di due cataloghi poi confluiti nell’Atlante stellare del Millennio comprendente un milione di stelle e qualche migliaio di oggetti non stellari. «Qui il concetto è identico ma con ordini di grandezza superiori e con un salto tecnologico enorme: da un millesimo di arcosecondo stiamo andiamo verso il milionesimo di arco secondo come capacità osservativa: per intenderci, è la misura dell’angolo col quale dalla Mole di Torino si inquadra Marte».



Gaia otterrà dati astrometrici di oltre un miliardo di stelle con una precisione centinaia di volte maggiore di quelli di Hipparcos e informazioni astrofisiche sulla luminosità nelle diverse bande spettrali che permetteranno di studiare in dettaglio la formazione, la dinamica, la chimica e l’evoluzione della nostra galassia; sarà anche possibile individuare pianeti extrasolari e osservare asteroidi, galassie e quasar.

La missione è realizzata direttamente dall’Esa, anche per la parte della strumentazione scientifica che consiste di due telescopi con campi di vista diversi e piano focale in comune, una serie di specchi e più di cento rivelatori CCD, che corrispondono a quasi un miliardo di pixel. Gaia scansionerà continuamente tutto il cielo sfruttando i moti di rotazione e di precessione del satellite: ogni zona del cielo viene osservata circa settanta volte durante la vita operativa del satellite.

La partecipazione della comunità scientifica europea prevede la responsabilità della riduzione dell’enorme mole di dati che saranno prodotti dalla missione; tale compito sarà svolto dal Data Processing and Analysis Consortium (DPAC), un apposito consorzio di istituti di ricerca europei. Un ruolo importante per la missione verrà svolto dal Data Processing Center Italiano (DPCT) – finanziato dall’ASI e realizzato da ALTEC, un’azienda hi tech mista pubblico- privato di Torino – che è parte del segmento di terra della missione e presso il quale verrà archiviata e gestita l’enorme mole di dati raccolti durante la vita operativa del satellite; a lui si aggiungerà il lavoro del centro ASDC dell’ASI per la gestione e analisi dei dati scientifici.

Il contributo italiano, quindi, è notevole: «Siamo la prima nazione insieme alla Francia e al suo stesso livello; non succede spesso ed è quindi un grosso impegno per ASI e INAF». Quest’ultima è direttamente coinvolta negli aspetti più tipicamente scientifici: produce tra l’altro tutti i software scientifici che poi sono integrati nell’infrastruttura del DPCT; «un lavoro svolto tutto in Java – osserva Lattanzi – che è linguaggio tipo del mondo delle telecomunicazioni ma meno usuale per gli scienziati e che ha richiesto un grande sforzo e impegno».

Quanto ai risultati, Lattanzi segnala una interessante novità: «Non si dovrà aspettare la fine della missione, nel 2021, per accedere ai dati: ci saranno anche dei rilasci intermedi per l’utilizzo scientifico che verranno messi a disposizione di tutta la comunità scientifica mondiale: un primo rilascio sarà già 22 mesi dopo il lancio. Il catalogo finale, cioè la tanto attesa mappa tridimensionale della nostra Galassia, ai 25 microsecondi d’arco in media su tutto il cielo, sarà completato tre anni dopo la fase operativa della missione che durerà 5 anni».

Oggi al workshop di Roma si farà il punto sulla preparazione del sistema scientifico di terra, che già fin d’ora sembra avere tutte le carte in regola per poter arrivare pronto all’appuntamento del lancio. Lancio che avverrà dalla nuova base Esa in Guinea, vicino alla storica base di lancio di Kourou, con un vettore Soyuz-Fregat-13 dal quale il satellite sarà posto in orbita intorno al punto lagrangiano L2. La data esatta è ancora oggetto di discussione da parte dei vertici Esa, che stanno combinando le precedenze delle diverse missioni con la finestra di lancio utile nella settimana che inizia il 21 ottobre prossimo. «Noi però saremmo già pronti anche in settembre – aggiunge con soddisfazione Lattanzi – dove c’è un’altra finestra disponibile».

 

(Michele Orioli)