Le scogliere coralline sono tra le maggiori riserve di biodiversità del pianeta: un numero straordinario di specie vive in un complesso sistema di mutue associazioni che compongono un ecosistema in grado di fornire nutrimento ad una parte considerevole della popolazione mondiale.
Negli ultimi anni questi siti meravigliosi, dove la vita si esprime in tutta la sua forza, sono diventati la meta privilegiata del turismo subacqueo che tende a dilatarsi, alla ricerca di proposte per un pubblico sempre più affamato di novità, nei più remoti angoli del pianeta.
D’altra parte, da alcuni decenni, ci siamo resi conto che questi straordinari ambienti sono particolarmente sensibili ad una serie di gravi minacce: non solo quella rappresentata dal disturbo fisico di un numero sempre crescente di visitatori, ma è ormai ampiamente noto il fenomeno del bleaching: probabilmente in relazione al riscaldamento globale degli oceani si determina l’espulsione delle alghe simbionti dai tessuti del corallo che, così, appaiono sbiancati e muoiono in tempi estremamente brevi.
Un altro fenomeno che ha lasciato devastanti strascichi sulle scogliere è dovuto ad un imprevedibile predatore dei coralli: la stella di mare corona di spine (Acanthasrer planci). A differenza dei loro parenti ricci di mare, che sono degli innocui brucatori del feltro algale, le stelle sono dei carnivori estremamente efficienti che sfruttano le loro prede con un meccanismo decisamente inusuale. Il loro stomaco sacciforme viene estroflesso attraverso la bocca e applicato alla preda che risulta così inglobata già parzialmente digerita. In questo modo le stelle possono predare una gran quantità di organismi, dai molluschi bivalvi alle spugne alle carcasse di pesci. Acanthaster è però specializzato nella predazione dei coralli: questa grande stella di oltre 50 cm di diametro, irta di spine ricoperte da un muco velenoso, si muove sulle scogliere applicando su di esse lo stomaco estroflesso.
In questo modo digerisce la sostanza organica della quale sono composti i polipi corallini che risucchia nell’apparato digerente. La visione di alcuni esemplari che si muovono in parallelo sui coralli, lasciando dietro di se un’evidente larga banda necrotica è uno spettacolo veramente impressionante. In alcuni casi l’impatto sulle madrepore è talmente rilevante che sono state messe in atto, da parte delle popolazioni locali azioni, tanto drastiche quanto inutili, di eradicazione fisica degli esemplari.
Un recente studio apparso su PLosOne ha decritto in dettaglio l’evoluzione di una infestazione nelle isole della Polinesia Francese dove il fenomeno inizia in aree particolarmente favorevoli all’insediamento delle larve e allo sviluppo dei giovanili; da queste zone una serie di ondate migratorie permettono la colonizzazione delle scogliere adiacenti. Il fenomeno termina solo quando i coralli preferiti dalla stella di mare sono stati in gran parte distrutti. Come un vero caso da manuale lo studio ben descrive sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo gli effetti della predazione. Innanzitutto le alghe si insediano sul corallo morto producendo un feltro che definitivamente blocca la crescita delle porzioni rimaste vitali. In secondo luogo si assiste ad una drastico collasso delle popolazioni di pesci mangiatori di coralli, come i pesci farfalla e i pesci pappagallo, che soccombono nella competizione con il più efficiente e distruttivo invertebrato.
Questo impressionante fenomeno deve farci riflettere su almeno due punti. Per lungo tempo ci siamo cullati nella tranquillizzante idea che un’elevata biodiversità fosse una garanzia per la resistenza di un particolare ecosistema ai cambiamenti. Le drammatiche infestazioni di Acanthaster ci dimostrano che l’attacco alle specie che formano la struttura fisica di un ecosistema, i cosiddetti ecosystem engineers ha effetti catastrofici sull’intera biocenosi.
In secondo luogo è lecito domandarci quali sono i fattori che permettono un eccezionale reclutamento di una specie marina, in questo caso Acanthaster. Si è talvolta immaginato che in aree costiere forti piogge potessero trasportare in mare elevati quantitativi di sostanze azotate derivante dalla fertilizzazione dei terreni agricoli. Tali sostanze avrebbero potuto determinare un’innaturale aumento del fitoplancton che rappresenta a sua volta il nutrimento delle larve di Acanthaster.
Lo studio condotto sulle isole della Polinesia Francese, a grande distanza da importanti appezzamenti di terreni agricoli tenderebbe a ridimensionare un’indiretta influenza umana sul fenomeno che rimane ancora avvolto da un fitto mistero. Sembrerebbe più probabile immaginare che il verificarsi assolutamente casuale di particolari sinergie di fattori ambientali (temperatura dell’acqua, presenza di alimento) in concomitanza con un evento riproduttivo possano condurre a reclutamenti particolarmente imponenti. I fenomeni ecologici, particolarmente in ambiente marino, sono decisamente più complessi di quanto una modellistica decisamente ingenua pretenderebbe di dimostrarci.