Evidentemente non hanno mai partecipato al Meeting di Rimini, i giornalisti americani che hanno salutato quella del 10 marzo come la più affollata lezione di astronomia: le 526 persone che si sono radunate a Austin (Texas) per assistere a una lezione davanti al modello in scala del prossimo telescopio spaziale sono una folla modesta in confronto alle migliaia che nell’agosto 2007 hanno riempito l’auditorium della Fiera di Rimini per sentire il premio Nobel George Smoot parlare delle osservazioni della prima luce cosmica; o, ai numeri sempre a quattro cifre registrati nel 1999 quando l’italiano Duccio Macchetto è arrivato da Baltimora a raccontare le ultime notizie dal telescopio spaziale Hubble.



Comunque quello di Austin resta un buon risultato, raggiunto nell’ambito di un evento tipicamente americano: il South by Southwest (SXSW) Conferences & Festivals e, all’interno di questo, nella sessione “interactive” esaltata appunto dalla presenza del modello in scala del James Webb Space Telescope (JWST), l’erede di Hubble che nel 2018 sarà messo in orbita dalla Nasa. È, in ogni caso, un’occasione per fare il punto sull’avanzamento del programma di preparazione della missione, che sta procedendo speditamente.



Il JWST è un grande telescopio spaziale ottimizzato principalmente per l’astronomia a raggi infrarossi ma con una certa capacità anche nel campo del visibile. Avrà un grande specchio di 6,5 metri di diametro e uno scudo solare delle dimensioni di un campo da tennis; entrambi non saranno portati in orbita completamente aperti sul razzo vettore ma viaggeranno ripiegati e compattati per essere poi dispiegati una volta arrivato nello spazio esterno, quando sarà sistemato su un’orbita a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra.

Sarà l’osservatorio d’eccellenza del prossimo decennio e fornirà dati preziosi a migliaia di astronomi in tutto il mondo. Inizialmente noto come il “Next Generation Space Telescope” (NGST), è stato rinominato nel 2002 dedicandolo, con scelta discutibile, a un ex amministratore della Nasa, James Webb, già alla guida del programma Apollo e convinto sostenitore dell’astronomia spaziale.



JWST è frutto di una collaborazione internazionale tra la Nasa, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Agenzia Spaziale Canadese (CSA ): il Goddard Space Flight Center della Nasa gestisce l’attività di sviluppo mentre il Space Telescope Science Institute di Baltimora, che finora ha avuto in cartico Hubble, seguirà le fasi operative dopo il lancio: Il principale partner industriale è Northrop Grumman.

Compito di JWST sarà studiare diverse fasi della storia del nostro Universo: trovare tracce che indichino l’evoluzione del nostro Sistema Solare; scrutare attraverso le nubi di polvere e gas galattico per vedere le stelle attorno alle quali si formano sistemi planetari; e poi individuare le prime galassie che si sono formate nell’Universo primordiale; fino a cogliere i primi bagliori luminosi dopo il Big Bang.

Diverse tecnologie innovative sono state sviluppate per questo nuovo telescopio spaziale. Tra le altre: uno specchio primario pieghevole e segmentato; una strumentazione ottica ultra-leggera al berillio; rilevatori in grado di registrare segnali estremamente deboli; micro-otturatori che consentono la selezione programmabile degli oggetti per lo spettrografo; un criostato per il raffreddamento a 7 Kelvin dei rivelatori a medio infrarosso.

Sul JWTS ci saranno quattro strumenti scientifici: la Near Infrared Camera (NIRCam), lo spettrografo Near InfraRed (NIRSpec), il Mid-InfraRed Instrument (MIRI) e il sensore di orientamento fine/ Near InfraRed Imager e Spectrograph Slitless (FGS-NIRISS). Gli strumenti saranno progettati per lavorare principalmente nel campo infrarosso dello spettro elettromagnetico ma, come si è detto, avrà una certa capacità nel visibile: sarà quindi sensibile alle radiazioni di lunghezza d’onda compresa tra 0,6 e 28 micron.

Forse la caratteristica più impressionante del telescopio spaziale sono i suoi specchi, per i quali Ball Aerospace, Axsys, Brush Wellman e Tinsley Laboratories hanno sviluppato una nuova tecnologia di fabbricazione: ciascuno dei 18 segmenti dello specchio primario è fatto di berillio, scelto per la sua rigidità, leggerezza e stabilità a temperature criogeniche.

Il berillio superficiale però non è molto riflettente nel vicino infrarosso, per cui ogni specchio è ricoperto con un sottile rivestimento d’oro per aumentare l’efficienza della riflessione agli infrarossi. Nell’ultima parte del 2012, lo specchio secondario e tre segmenti dello specchio primario sono stati consegnati da Ball Aerospace al Goddard Space Flight Center per il montaggio con il resto del telescopio.

Lo stato di avanzamento del programma sta rendendo soddisfatti i tecnici e gli scienziati della Nasa: nel febbraio scorso sono state completate alcune componenti importanti, come la struttura di supporto dello specchio secondario, il backplane dello specchio primario, la struttura primaria dell’astronave; nei prossimi giorni inizierà il test col simulatore OSIM (Optical Telescope Element Simulator) posto in una camera a vuoto (detta SES, Space Environment Simulator, simulatore di ambiente spaziale) per certificare la resistenza alle fredde temperature dello spazio criogenica.

C’è da aggiungere che queste tecniche di produzione non solo permettono alla Nasa di realizzare il più sofisticato telescopio spaziale finora costruito, ma consentono di sviluppare processi innovativi dei quali tutti poco o tanto potremo beneficiare qui sulla Terra.