Per Milano quello appena passato è stato un weekend di ferro, anzi d’acciaio. Così almeno l’hanno vissuto i tanti visitatori del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”, che si sono trovati immersi nientemeno che in un’acciaieria e hanno potuto percorrere tutte le fasi del ciclo di vita di questo materiale. Protagonista quindi l’acciaio; proprio quello che, in un celebre libro (Armi, acciaio e malattie, Einaudi 1998), l’antropologo Jared Diamond assume come simbolo di una tecnologia “inventata dagli eurasiatici” e “fattore importante nelle grandi dinamiche storiche”.



Al Museo milanese il tema dell’acciaio non è nuovo, ma ora, grazie al supporto di Arvedi e di Samsung, diventa uno spazio dove il visitatore si può immergere in un’installazione audiovisiva-artistica che descrive le fasi della sua produzione. Un materiale – come ha spiegato il curatore del Museo Francesca Olivini – importante per la nostra vita quotidiana in quanto è uno dei più resistenti, durevoli, riciclabili e riutilizzabili.



L’esposizione è caratterizzata da un nastro di acciaio che attraversa lo spazio nel senso della lunghezza disegnando una forma geometrica senza interruzioni che mette in collegamento pavimento e soffitto. La prima parte del nastro è dedicata alla descrizione delle fasi di rottame, fusione, produzione della lega e colata-laminazione; una seconda parete verticale e il piano del soffitto sono dedicati invece a semilavorati e prodotti. Il rottame, che coincide con il primo ingresso dell’area, è l’origine e la chiusura del ciclo di vita dell’acciaio e il punto di partenza della produzione.



Nella postazione dedicata alla produzione della lega si introduce anche un elemento di interattività: il visitatore, spostando una leva, può decidere se realizzare acciai da costruzione, acciai inossidabili o acciai multifasici. In base alla scelta si attivano tre diversi contenuti video da cui emergono alcuni concetti fondamentali: l’acciaio è una lega, in base agli “ingredienti” aggiunti al rottame fuso si ottengono acciai diversi e funzionali rispetto ai prodotti, l’acciaio riciclato può addirittura migliorare le proprie caratteristiche.

Ma perché riservare tanta attenzione a un prodotto “tradizionale” e simbolo di una fase tecnologica lontana dalle magiche meraviglie soft dei moderni sistemi dell’informatica e delle telecomunicazioni? Una risposta ce la offre Federico Mazzolari, responsabile marketing del Gruppo Arvedi, che ci racconta una storia di innovazioni – introdotte nella produzione a partire dai primi anni ’90 fino alla più recente tecnologia ESP (Endless Strip Production) realizzata per la prima volta in un impianto nel dicembre 2009 – che hanno portato il Gruppo all’avanguardia mondiale nella siderurgia.

«L’innovazione consiste nella compattazione di un ciclo che normalmente avviene per fasi distinte, cioè produzione dell’acciaio liquido, colata, produzione del semilavorato che poi viene caricato in modo più o meno diretto negli impianti di laminazione per il prodotto finale; tutto questo in un processo che può occupare grandi spazi, in capannoni distinti, con un enorme utilizzo di impiantistica e notevole impiego di energia».

Un processo radicalmente rinnovato dalla tecnologia Arvedi, ben descritta in una postazione video all’interno del percorso espositivo, sulla base delle immagini girate presso l’acciaieria di Cremona, concentrandosi su tutte le fasi in cui si hanno miglioramenti rispetto al processo classico. «Miglioramenti raggiunti attraverso anni di ricerche e a fronte di 416 brevetti industriali. Il processo Arvedi compatta in circa 180 metri quanto normalmente viene fatto con un dispendio enorme di risorse. Per risorse intendo: lo spazio, i macchinari, l’energia, l’utilizzo di un bene come l’acqua».

L’innovazione è stata possibile a partire da circa vent’anni fa, grazie anche alle nuove soluzioni messe a disposizione dalle tecniche di automazione di processo: «è questa che ci ha permesso di realizzare l’integrazione di più fasi e che ci ha permesso non solo di controllare alcuni parametri del processo ma ha controllato l’intero processo dall’inizio alla fine, aggiornando progressivamente la situazione e quindi controllando il prodotto in modo continuo. Quando l’ingegner Arvedi ha deciso di raccogliere questa sfida, era il momento maturo per poter affrontare alcune problematiche di automazione integrata e per sviluppare dei software adeguati».

Il risultato è stata una tecnologia che, prima al mondo, ha potuto realizzare un sistema di colaggio e laminazione in continuo dell’acciaio per la produzione di nastri «arrivando ad ottenere, rispetto al processo tradizionale, un risparmio di quasi il 50% di energia e del 50% di acqua utilizzate. Se per un impianto tradizionale si valuta un consumo energetico di 340 kWh per tonnellata, noi possiamo raggiungere anche i 130 kWh/t, quindi anche meno della metà».

Un secondo esempio che realizza un deciso passo avanti arrivando a quello che si chiama un processo “continuo-continuo”, peraltro già previsto nel brevetto del 1989, Mazzolari lo indica nell’impianto di Cremona che consente vantaggi anche dal punti di vista della qualità del prodotto: «Attuare il processo in continuo significa controllarlo in maniera stabile e di conseguenza arrivare a un prodotto che ha delle caratteristiche stabili di tipo dimensionale e strutturale, quindi di qualità».

E non è finita. «L’impianto di Cremona può produrre oltre 2,5 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, ma stiamo pensando di applicare queste stesse metodologie produttive su scala maggiore, in impianti da 3,5-4 milioni di tonnellate, quindi competitivi con i maxi impianti dei colossi del settore».

 

(Mario Gargantini)