«All’inizio eravamo un piccolo gruppo di ricerca di cinque persone. Ora si parla di European Large-Scale Laser Facilities, di grandi collaborazioni internazionali e di grandi centri in diversi Paesi, dall’UK alla Francia, alla Germania e all’Italia». Così, davanti a una foto in bianco e nero di quel primo laboratorio del Politecnico di Milano, Orazio Svelto ripercorre la storia del laser e celebra i 50 anni dei laser al Politecnico. Sì, perché l’ateneo milanese è stato uno dei primi enti italiani e internazionali a occuparsi di ricerca nel campo dei laser e delle relative applicazioni; il primo gruppo di ricerca veniva infatti fondato dal professor Svelto al ritorno da un’esperienza iniziata nel 1961 presso l’Università di Stanford (Usa), tra le prime a sviluppare ricerche in questo settore.
Il gruppo del Politecnico, istituito anche grazie all’aiuto lungimirante del professor Emilio Gatti, ha iniziato la sua attività proprio nel 1963: un anno glorioso per il “Poli”, che celebrava il suo primo secolo di vita – così come quest’anno sta celebrando il 150° – e festeggiava il suo primo premio Nobel assegnato al chimico Giulio Natta per la messa a punto del polipropilene.
L’attività di ricerca in questo settore si consolida e si espande negli anni successivi, grazie alla rilevanza internazionale dei risultati scientifici ottenuti e porta a significativi riconoscimenti sia in campo nazionale che internazionale. In particolare ha portato all’istituzione di un Centro di Elettronica Quantistica e Strumentazione Elettronica da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e a un Centro di Ricerca e Sviluppo dall’Istituto di Fisica della Materia (Infm); più recentemente questi due Centri sono confluiti nell’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del Cnr, con sede presso il Dipartimento di Fisica.
Ma gli inizi sono stati faticosi. Riferendosi a quelle fasi pionieristiche, il professor Svelto, con una efficace espressione, definisce il laser come “una brillante soluzione in cerca di un problema” e parla di un primo periodo “frustrante”, «nel senso che le applicazioni tentate nei primi dieci anni dopo l’invenzione – avvenuta nel maggio 1960 col laser al rubidio di Theodore H. Maiman – fallirono tutte». Come mai? «Perché l’idea era giusta ma i laser che si utilizzavano non erano quelli giusti; e perché per alcune applicazioni ci volevano laser operanti in funzionamento continuo mentre quelli di allora erano a impulsi; poi ci volevano laser in luce verde, ad esempio in chirurgia oftalmica per gli interventi sulla retina oggi molto comuni, mentre allora erano in luce rossa o addirittura nell’infrarosso. Quindi il risultato fu disastroso, sia per quanto riguarda le applicazioni nel campo della medicina, sia per quelle nel campo delle comunicazioni ottiche, sia per l’ambito della lavorazione dei materiali. Sono questi tre dei campi più sviluppati attualmente, ma in quegli anni fu un completo fallimento».
Quando allora si è potuto risalire “dalla soluzione al problema” e poi approdare alla vera soluzione? «Quando i laser sono stati perfezionati nelle loro performance e soprattutto quando sono stati introdotti i laser a semiconduttore; ciò è avvenuto dopo gli anni ’70. A poco a poco si sono realizzati i laser giusti e si è capito come farli funzionare bene; allora le applicazioni sono esplose. Tante realizzazioni sono diventati possibili anche perché meno costose; così, via via, i laser sono diventati sempre più conosciuti e utilizzati».
Il Politecnico ha visto crescere le proprie competenze e la propria autorevolezza nel settore: la qualità della sua ricerca e dei suoi laboratori sperimentali ha anche portato al riconoscimento da parte della Comunità Europea dello status di Large Scale Facility, con la costituzione del Centro Europeo “Centre for Ultrafast Science and Biomedical Optics (CUSBO)”. Complessivamente qui operano ora nel settore circa trenta unità di personale strutturato e almeno altrettante unità di personale non strutturato, inclusi numerosi ricercatori stranieri.
E adesso, quali problemi aspettano il laser come soluzione? E che tipo di laser? Secondo Svelto, «un importante campo applicativo è quello della spettroscopia per l’analisi degli inquinanti atmosferici, che si può svolgere molto bene con i quantum cascade laser, che sono laser molto piccoli e compatti e offrono performance molto elevate rispetto ad altre soluzioni nel campo del monitoraggio ambientale dove particolari tipi di laser, come i Lidar, già vengono utilizzati. Poi c’è tutto il campo della fisica fondamentale, dove diventano importanti i laser a impulsi brevi e ultrabrevi». Da tempo si è superata la barriera del picosecondo (millimiliardesimo di secondo); si è già passati alla fase dei femtosecondi (millesimi di picosecondo), che ha permesso di sviluppare la femtochimica; e ora si punta ai laser pulsati all’attosecondo (millesimo di femtosecondo), che permetteranno di condurre ricerche alle frontiere della fisica e della chimica.
Per il futuro, Svelto è convinto che gli sviluppi del laser ci porteranno nel secolo della fotonica. «Si suole dire che il secolo scorso è stato il secolo dell’elettronica, che si è potuta sviluppare a seguito degli studi fondamentali sul movimento degli elettroni. Adesso, a seguito degli studi fondamentali sulla luce, cioè sui fotoni, ci si spalanca il secolo della fotonica; se già utilizziamo i fotoni in molte situazioni, dai cd ai dvd, a internet, prossimamente li utilizzeremo ancor di più e sempre più diffusamente. La fotonica è iniziata da una decina di anni ma il suo impatto si proietterà su tutto il secolo».
(Michele Orioli)