«Gli interruttori genetici funzionano come sistemi GPS. Proprio come questi calcolano la posizione della vettura integrando diversi stimoli, gli interruttori integrano informazioni spaziali nell’embrione rispetto a longitudine, latitudine, altitudine e profondità e definiscono le aree in cui i geni sono attivati e disattivati».
Questa è l’immagine centrale del moderno pensiero della “nuova scienza dell’Evo-Devo (Evolutionary developmental Biology)”, come recita il sottotitolo del bel libro di un noto genetista (Sean Carroll, Infinite forme bellissime, Codice): gli interruttori genetici sono i registi occulti della vita che, a seconda della sinfonia che dirigono, determinano una forma bellissima piuttosto che un’altra e, al contempo, possono trasformare l’una nell’altra, senza mai interrompere la musica.
Sono potenti e intelligenti come il Global Positioning System (GPS)! I due massimi problemi della biologia teorica, l’ontogenesi e l’evoluzione, sono risolti con un solo termine, “il gene interruttore”: la forma della vita è la manifestazione visibile della sua regia e l’evoluzione della vita è il suo flusso ininterrotto nel tempo, per mutazione. Carroll è professore di genetica all’University of Wisconsin e la sua attività scientifica è considerata fondamentale per la comprensione della nuova versione dell’evoluzione, appunto la “Evo-Devo”.
Questo libro ne è una importantissima sintesi per il grande pubblico e porta la prefazione di Telmo Pievani. Vediamo il problema dell’ontogenesi.
Ogni organismo deriva da una cellula sola, sferica e omogenea. Dove si trovano le istruzioni per il montaggio di tutti gli organi di cui è fatto l’animale? Come fa la testa a prendere la forma che ha e come fa ad assumerla in quella posizione? E la stessa domanda vale per i denti, per gli occhi, per il cuore, per i piedi, per le unghie ecc… E ancora: ciascuna cellula di ogni tessuto (oltre 200 tipi nel corpo umano) possiede gli stessi geni di tutte le altre.
Eppure il bastoncello dell’occhio ha un metabolismo molto diverso da quello dell’osteocita del femore o ancora della cellula di un nefrone; questo accade grazie all’attività di alcuni geni e al silenziamento di altri. Ma chi o che cosa decide questa scelta? Ecco la scoperta di Carroll: gli interruttori sono i responsabili ultimi di ciascuna fase dello sviluppo dell’embrione e sono attivati tra loro a cascata: quelli ora attivi sono stati indotti da altri precedenti e a loro volta ne stimoleranno nuovi. Ma cosa c’è all’inizio di tutto? Qual è la prima mossa nell’uovo fecondato? È la definizione di due poli nella sfera dell’uovo.
È la creazione dell’asse principale, quello cefalo-caudale. Segue immediatamente la determinazione degli altri due assi, quello dorso-ventrale e quello latero-laterale. Sembra che gli assi si creino attraverso la distribuzione a gradiente di una o più proteine (tra cui la cordina nei vertebrati).
Una volta determinate le coordinate fondamentali (le tre dimensioni dello spazio) dell’embrione entrano in azione i geni Hox, che costituiscono il kit degli attrezzi per il suo montaggio. I geni Hox sono una pietra miliare nell’embriologia contemporanea.
Nella drosophila sono otto, tutti co-lineari con le strutture anatomiche che si sviluppano lungo l’asse cefalo-caudale, ovvero il primo, lab, crea le labbra e l’ultimo, Abd, crea il segmento anale.
Gli otto geni sono raggruppati in due cluster: Antennapedia (5) per la parte aneriore e Bithorax, per la parte posteriore del moscerino (3). I loro prodotti sono proteine che funzionano come il repressore lac di Escherichia coli, ovvero agiscono su altri geni, quelli operativi, perché fabbricano pezzi dell’animale e non la loro architettura.
Un dato interessante è il fatto che ogni loro proteina condivide con le altre una sequenza di 180 basi che, tradotte, diventano i 60 amminoacidi del suo dominio, ovvero della sua parte più importante. Per questo motivo i geni Hox sono detti “omeotici” (simili). La parte homeobox dei geni della drosophila si ritrova pressochè identica anche nel topo o nella rana, manifestando per di più la stessa colinearità e la stessa organizzazione in cluster.
Questo significa che le diverse forme animali sono solo varianti dello stesso tema: non sono disegni nuovi e diversi tra loro. Per esempio: il gene eyeless (che provoca, se mutato, la mancanza degli occhi) del moscerino è analogo al gene aniridia dell’uomo (provoca riduzione dell’iride) e ancora al gene small eye dei topi (assenza di occhi, sempre se mutato). Interessante la loro azione: eyeless induce un occhio se trapiantato nell’ala (!), mentre small eye trapiantato nell’ala del moscerino induce un occhio, attenzione, di moscerino. Questi tre geni costituiscono il cluster Pax-6, un insieme ancora più grande, ubiquitario nel regno animale e sempre implicato nella formazione degli occhi.
Ancora, il gene distal less (se mutato provoca l’assenza della parte terminale dell’arto), trovato nel moscerino, è responsabile dello stesso effetto nella farfalla, nei crostacei, nei centopiedi, nelle ascidie, nel pollo, nei pesci (pinne). La famiglia di geni Tinman si trova nel cuore di tutti gli animali, dal moscerino in poi. Gli esempi si allungano di continuo. C’è da rilevare comunque che la somiglianza non è uguaglianza, tanto che le proteine Hox, Pax-6, Dll e Tinman sono state classificate in diverse famiglie.
Ma credo che questo sia un aspetto marginale. Quello che importa è che questi geni costituiscono il Kit degli attrezzi per il montaggio degli animali e sembrano essere abbastanza universali.
Nel moscerino (l’animale più studiato dai genetisti) sono solo alcune centinaia di geni sul totale di oltre 13.000. Agiscono tutti o attivando o disattivando i geni strutturali (quelli operativi), oppure generando segnali che, recepiti da altre cellule, attivano una cascata di eventi morfogenetici, tra cui la divisione cellulare, la migrazione, il cambiamento di forma ecc… La loro azione si esplica nel tempo a partire dalla fecondazione fino al termine dello sviluppo generando per l’osservatore paesaggi diversi in successione: si parla di “geografia” dei geni dello sviluppo, rappresentata con una bellissima grafica (a pag.90) che costituisce veramente un documento eccezionale per capire oggi la “vita”.
È una pagina che vorrei ingrandita a parete nel mio studio, accanto ai disegni dei miei figli! La prima mossa, si diceva, è la determinazione dei poli, la successiva, quella degli assi. Segue un altro passaggio incredibile per la complessità: la suddivisione del corpo embrionale in spicchi di longitudine e latitudine (come accade per la Terra), di dimensioni via via più piccole. Ad ogni spicchio viene quindi assegnata un’identità precisa (un somite, un cuore, uno stomaco…). La formazione dell’organo specifico procede ora attraverso una ridefinizione di un nuovo “micro-mondo” con poli, meridiani e paralleli… e avanti di nuovo! Ogni cellula sa quello che deve fare in funzione della sua posizione nell’embrione (un’idea antica in embriologia: è la positional information di Wolpert, 1969, o la sociologie cellulaire di Rosine Chandebois): è l’unico modo per spiegare la morfogenesi, il più grande spettacolo sulla Terra: contemporaneamente si sviluppano ex novo tutti gli organi di cui è fatto l’organismo, a partire da un uovo indifferenziato, tutto uguale e privo di qualunque minima bozza di ciò che sarà dopo qualche settimana!
Secondo la teoria evo-devo mutazioni importanti, avvenute durante lo sviluppo embrionale, hanno slittato il piano generale verso nuove soluzioni adattative. In tempi rapidi, quindi, tali comunque da non lasciare sufficienti tracce nei reperti paleontologici, le specie si sono ramificate differenziandosi in modo piuttosto radicale con interventi consistenti a carico dei geni Hox.
A questo punto si aprono però nuovi interrogativi, come sempre accade quando nella scienza si propongono nuove soluzioni: cambiamenti così radicali e repentini a livello del genoma, sono “sostenibili” dall’embrione, al doppio livello dell’anatomia e della fisiologia?
Detto in parole ancora più concrete: come può avvenire in modo efficiente il passaggio della nuova informazione al “vecchio” hardware, fatto di metabolismo e di cellule unite a “sistema”? Attendiamo nuove ricerche. Lo scenario presentato da Carroll resta comunque affascinante.