La forza di gravità ha molta fantasia: non solo ci tiene ben piantati con i piedi per terra e mantiene il nostro Pianeta sulla sua orbita intorno al Sole, ma riesce anche a offrirci configurazioni di oggetti spaziali singolari e sorprendenti. Come, su grande scala, gli ammassi di galassie, dove ogni galassia interagisce con le altre in un complesso intreccio gravitazionale; o, all’interno delle galassie, i sistemi di stelle doppie e in qualche caso multiple, dove non è ben chiaro se e come possano esserci dei pianeti orbitanti attorno ad entrambe. Anche nel nostro sistema solare non mancano le strutture insospettabili: come quelle degli asteroidi gemelli, che si attraggono reciprocamente e orbitano uno attorno all’altro. È il caso del sistema asteroidale Didymos (gemelli, in greco), un sistema “binario” costituito da due asteroidi in orbita tra di loro attorno a un centro di gravità comune: il più grande dei due ha la lunghezza massima di circa 800 metri (la forma ovviamente è irregolare), l’altro di circa 150 metri. Passeranno a una distanza di undici milioni di chilometri dalla Terra (quindi ben oltre la Luna) nel 2022, tale da non rappresentare un pericolo per il nostro Pianeta.
Di asteroidi si sta parlando molto in questo periodo, specie dopo il passaggio ravvicinato dell’oggetto “2012 DA14” e la quasi contemporanea caduta del meteorite in Russia; anche se da tempo le Agenzie e gli enti di ricerca Spaziali sono sulle tracce di questi che ormai abbiamo imparato a denominare NEO (Near Earth Object).
Tra i progetti recentemente varati dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea), c’è quello del rendez- vous proprio con Didymos fra nove anni: sarà la Missione Aida (Asteroid Impact and Deflection Assessment), da tempo allo studio tramite una collaborazione internazionale e che a metà febbraio si è vista assegnare come obiettivo quello di incontrare gli asteroidi gemelli. Il progetto Aida prevede l’invio di due piccoli veicoli spaziali a intercettare il doppio asteroide; lo scopo però non sarà quello di defletterne la traiettoria allontanandolo da noi, quanto quello di osservarlo da vicino. Il primo veicolo, il Double Asteroid Redirection Test (DART) progettato presso il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory, si schianterà, alla velocità di oltre 6 metri al secondo, sul più piccolo dei gemelli; nel frattempo la seconda sonda, l’Asteroid Impact Monitoring (AIM) dell’ESA, osserverà tutto da vicino e registrerà i dati inviandoli ai centri di ricerca. Qui la traiettoria dell’asteroide sarà analizzata in tutta la sua evoluzione, prima, durante e dopo l’impatto.
Si potrà così comprendere come reagisce un asteroide a un urto violento e utilizzare tali conoscenze per eventuali situazioni di emergenza. Anche se, commentano i ricercatori, una missione del genere ha lo scopo di testare le tecnologie prima ancora della identificazione di eventuali minacce cosmiche. Inoltre, l’effetto della collisione può essere paragonato a quello prodotto da un detrito spaziale che vada a scontrarsi con un satellite; così si potranno studiare gli effetti di tali collisioni e quindi mitigarli.
«AIDA – dicono all’ESA – non è tanto una missione asteroidale quanto piuttosto una piattaforma di ricerca, aperta alle idee e alle proposte di quanti vorranno utilizzarla». E al Hopkins’ Applied Physics Laboratory sottolineano che «il progetto può avere sviluppi in diverse aree: dalle scienze applicate all’utilizzo degli asteroidi come risorse».
Come all’inizio di altre storiche missioni spaziali, il pensiero non può non riandare al grande Isacco Newton, che non poteva osservare da vicino gli asteroidi ma, con le sue equazioni, li ha “fotografati” tutti in anteprima.