Tutti sanno che quando una sorgente laser o una comune lampada emette un fascio di luce, questo si propaga nello spazio circostante percorrendo una traiettoria rettilinea. Va precisato, tuttavia, che allontanandosi dalla sorgente luminosa il fascio di luce non mantiene le caratteristiche iniziali ma, seppure con modalità diverse per il laser e per la lampada, incomincia a divergere diventando sempre più espanso e meno intenso all’aumentare della distanza percorsa. Questo inevitabile comportamento dei fasci luminosi è una conseguenza del fenomeno della diffrazione, una delle manifestazioni più tangibili della natura ondulatoria della luce.



Tuttavia, anche se l’evidenza sembra indicare il contrario, è possibile evitare questo scomodo fenomeno sfruttando le straordinarie proprietà di un’insolita classe di onde ottiche nota con nome di “fasci di Airy” (dal nome del fisico che negli anni trenta aveva descritto matematicamente il fenomeno delle caustiche ottiche). A differenza delle altre onde luminose, infatti, i fasci di Airy (la cui esistenza era stata predetta nel 1979 dai fisici Michael Berry e Nandor Balazs) hanno la capacità di resistere al fenomeno della diffrazione anche sulle lunghe distanze e possono accelerare liberamente (ovvero curvare) durante la loro propagazione.



Ma come è possibile realizzare un fascio di Airy? Il principio operativo è abbastanza semplice e sfrutta la proprietà degli ologrammi di rimodellare in maniera controllata l’onda luminosa incidente. In pratica, per creare un fascio di Airy è sufficiente inviare su un ologramma opportunamente preparato la luce emessa da una sorgente coerente (un laser). La fitta e intricata rete di frange che ricopre la superficie dell’ologramma crea infatti fenomeni di diffrazione e interferenza tali da dare origine a un fascio di luce che si propaga lungo una traiettoria curvilinea mantenendo pressoché inalterate le proprie dimensioni trasversali.



È di questi giorni la notizia che un gruppo di ricercatori della facoltà di Ingegneria dell’Università di Tel Aviv in Israele, è riuscito a creare un fascio di Airy utilizzando elettroni anziché onde luminose. L’idea, in se, non è particolarmente originale poiché le leggi della meccanica quantistica prevedono un perfetto dualismo fra il comportamento delle particelle elementari e quello delle onde luminose. Pertanto, se con un’onda luminosa si riesce a generare un fascio di Airy lo stesso risultato deve potersi ottenere anche utilizzando un fascio di elettroni.

La difficoltà a utilizzare gli elettroni è sostanzialmente realizzativa. Infatti, la lunghezza d’onda associata a queste particelle (in virtù del dualismo onda-particella) è enormemente più piccola di quella della luce visibile e quindi risulta estremamente difficile realizzare ologrammi (con cui generare i fasci di Airy) con frange così sottili e fitte da poter interagire con lunghezze d’onda così piccole. Ora, grazie alle nuove tecnologie sviluppate nell’ambito degli studi sui nano-materiali è diventato possibile realizzare ologrammi alle nanoscale che, interagendo con un fascio di elettroni, sono in grado di generare l’analogo elettronico dei fasci ottici di Airy. 

Interpretato dal punto di vista della meccanica quantistica, il fenomeno si spiega col fatto che, interagendo con l’ologramma, il fascio di elettroni modifica temporaneamente la propria funzione d’onda (una grandezza fisica che definisce la probabilità che le particelle del fascio occupino una determinata posizione nello spazio). Ed è proprio grazie alla modificazione della funzione d’onda che fasci di elettroni possono percorrere traiettorie curve senza l’intervento di forze esterne (ad esempio campi magnetici) preservando la loro forma e le loro dimensioni anche su distanze relativamente lunghe.

Un’importante applicazione di questo risultato riguarda la possibilità di controllare con maggiore efficacia e precisione la traiettoria e la forma dei fasci elettronici utilizzati nei microscopi elettronici a trasmissione (TEM). L’utilizzo di fasci di Airy elettronici permetterebbe infatti sia di aumentare la profondità di campo in questi strumenti sia di migliorarne la risoluzione spaziale.