ITER è il grande progetto internazionale che mira a dimostrare scientificamente e tecnologicamente che la fusione termonucleare può essere una fonte di energia pulita, non dipendente da combustibili strategici (come il petrolio o l’uranio), e a costo accessibile. Approvato nel 2007 dopo una gestazione di oltre 20 anni e superata la crisi legata alla revisione di costi nel biennio 2010-2011, il progetto è ormai nel pieno della sua fase realizzativa nelle vicinanze di Aix en Provence. Una buona parte dei contratti industriali per la costruzione delle parti è stata assegnata o è in via di assegnazione. Fra l’altro industrie italiane si sono aggiudicate una quota importante delle forniture ad altissimo contenuto tecnologico.
L’inizio della prima fase sperimentale è previsto per il 2020, e nei due decenni successivi l’esperimento dovrebbe produrre una serie di risposte capitali: dimostrare entro il 2030 di poter funzionare in regime di guadagno energetico ed entro il 2040 di poter operare per periodi di tempo abbastanza lunghi per essere industrialmente interessante.
ITER è un esperimento scientifico chiave. Se ITER avrà successo, una nuova fonte di energia farà il suo ingresso nel panorama mondiale e potrà costituire una quota significativa di mercato entro questo secolo. Viceversa se fallirà una serie di soluzioni alternative basate sulla fusione termonucleare dovrebbero essere riconsiderate e sviluppate, ma potrebbe passare un lungo periodo prima che qualcuna di esse giunga a un grado sufficiente di maturità per essere sottoposta a una analoga prova del fuoco.
ITER inaugurerà l’era del cosiddetto “burning plasma”: il fuoco termonucleare dieci volte più caldo del nucleo del Sole che trae il suo calore dalle reazioni di fusione nucleare di isotopi di idrogeno che vengono trasformati in elio e neutroni. Come è facile intuire, lo studio diretto delle proprietà della materia in queste condizioni così estreme è stato finora sostanzialmente inaccessibile. La natura ha disposto che le sue fornaci termonucleari (le stelle) stiano ad adeguata distanza dagli occhi di chi le può ammirare.
In ITER solo pochi metri separano i due estremi umanamente accessibili della scala di temperatura, i circa 4 gradi Kelvin del fluido di raffreddamento dei magneti superconduttori che trattengono il plasma e i più di 100 milioni di gradi di quest’ultimo. Tra questi due estremi la superficie metallica della parete del reattore, esposta ad un flusso di calore paragonabile a quello che si trova alla superficie del Sole. E’ solo uno dei molti esempi possibili che mostrano le difficoltà tecniche che si stanno affrontando.
Come in altri campi della fisica sperimentale di frontiera, anche nella fusione l’Europa ha un ruolo guida ed i tempi e la prassi della governance europea influenzano anche il cammino di ITER. Il 2013 chiuderà il settimo programma quadro che finanzia molto della ricerca europea. L’avvio del prossimo programma di sviluppo e innovazione, suggestivamente chiamato Horizon 2020, coincide con l’esigenza di definire più precisamente gli obiettivi di ricerca della fusione nell’era di ITER.
All’inizio del 2012 la Commissione Europea ha richiesto a EFDA (European Fusion Development Agreement), l’organismo preposto a coordinare le ricerche sulla fusione in ambito europeo, la stesura di un piano rivolto a dimostrare la produzione di energia elettrica da fusione entro il 2050. Circa un anno di lavoro degli esperti del settore ha prodotto il documento recentemente reso pubblico intitolato “Fusion Electricity : A roadmap to the realisation of fusion energy”. Il documento delinea il percorso possibile verso questo obiettivo. ITER è chiaramente il primo passo con gli obiettivi scientifici ambiziosi ricordati più sopra. Ma nell’arco della vita di ITER la fusione attraverserà la fase di profondo cambiamento da esperimento da laboratorio a realizzazione industriale.
Nel programma europeo (e similmente in quello di altri paesi tecnologicamente avanzati) un unico altro importante passo separa la dimostrazione scientifica da quella commerciale, che è la realizzazione di un prototipo dimostrativo (DEMO) molto simile al dispositivo che potrà poi essere immesso sul mercato. Tra gli obiettivi di DEMO vi sono la produzione e trasferimento alla rete elettrica di alcune centinaia di megawatt (equivalenti ad una centrale convenzionale di media taglia), la produzione del suo proprio combustibile (“breeding” del Trizio a partire dal Litio), e la dimostrazione di tutte le tecnologie necessarie per un dispositivo con affidabilità di livello commerciale.
Questo ulteriore e finale passaggio che dovrebbe vedere l’ingresso sul mercato della energia prodotta da fusione termonucleare richiede l’introduzione di avanzamenti significativi in diverse aree tecnologiche chiave, che diventeranno nei prossimi anni il focus dello sforzo congiunto di laboratori scientifici e industrie. Innanzitutto dissipare l’ingente quantità di energia termica che viene convogliata in apposite regioni della parete interna del reattore; sviluppare materiali che possano mantenere a lungo le loro proprietà termiche e strutturali anche se sottoposti all’intenso bombardamento neutronico intrinsecamente legato alle reazioni di fusione; inoltre dimostrare la completa autosufficienza dal punto di vista della produzione del combustibile, realizzando il breeding dei circa 0.4 kg/giorno di Trizio necessari ed estraendo dal reattore la corrispondente quantità di “ceneri”, costituite in questo caso da innocuo Elio.
Si prevede che nel 2050 la richiesta mondiale di energia sarà circa raddoppiata rispetto ai valori odierni, corrispondentemente all’aumento della popolazione mondiale ed alla maggiore richiesta di energia pro-capite tipica delle società tecnologicamente avanzate. I combustibili fossili coprono oggi l’80% del fabbisogno mondiale ma comportano una serie di noti inconvenienti ecologici insostenibili nel lungo periodo. Lo sviluppo di tutte le possibili alternative energetiche, il miglioramento dell’efficienza e l’adozione di stili di vita virtuosi sono elementi imprescindibili per il benessere delle generazioni a venire.