Il mercato mondiale del settore nutraceutico nel 1999 è stato pari a circa 38 miliardi di dollari ed è passato a 117 nel 2007, mentre per il 2015 è stimato oltre i 200 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuale composto (CAGR) superiore al 6%. E’ il settore che comprende quei prodotti, meglio definiti come functional foods, sempre più utilizzati per mantenere sia il benessere fisico che le capacità cognitive; prodotti diventati negli anni recenti tra i protagonisti di importanti sfide sociali ed economiche per i Paesi occidentali, come quella del miglioramento della qualità della vita e del benessere delle persone e quella della prevenzione delle patologie croniche. Per rendere tali sfide sostenibili non ci si può basare solo sull’assunzione di farmaci ed è per questo che negli ultimi anni è aumentata la disponibilità di preparati contenenti composti bioattivi di origine naturale, quelli appunto nutraceutici. Ad essi è dedicato un workshop – Nutraceutica: sviluppo e prospettive – in programma oggi presso l’aula Marconi del Cnr di Roma, con lo scopo di fare il punto sui principali aspetti riguardanti l’uso dei functional foods nell’ambito del mantenimento sostenibile della salute, e di stimolare la discussione sulle prospettive di sviluppo del settore, coinvolgendo esperti provenienti sia dal mondo della ricerca che delle imprese. Ne abbiamo parlato col coordinatore dell’evento, Pierluigi Mauri dell’Istituto di Tecnologie Biomediche (ITB) del Cnr di Milano.
Che cosa dobbiamo intendere col termine nutraceutica?
Nutraceutica non è una denominazione ufficiale e non è propriamente un termine scientifico: viene utilizzato da una ventina d’anni per indicare la fusione degli ambiti della nutrizione e della farmaceutica. In realtà comprende tutti quelli che si chiamano functional foods, cioè cibi funzionalizzati quali integratori, probiotici e simili.
Sono quelli che la normativa europea ha da qualche anno ben regolamentato…
Sì, la Comunità Europea infatti non parla di nutraceutica ma di functional foods, cioè di cibi adatti per curare malattie croniche. Sono alimenti arricchiti da particolari principi attivi, tra i quali sono molto di moda gli antiossidanti e quelli contro l’invecchiamento (anti aging). La Comunità Europea ha regolamentato i cosiddetti claims, cioè le dichiarazioni dove vengono descritte le attività di queste sostanze; e lo ha fatto in modo molto restrittivo, precisando le modalità di registrazione dei claims riguardanti gli alimenti salutistici. In particolare, essa richiede, anche per i prodotti già registrati, le prove scientifiche di quanto dichiarato nei claims: la CE vuole che si valuti scientificamente l’attività del prodotto, cioè che si dimostri che uno non si ammalerà assumendo quel prodotto. Si capisce subito che si tratta di una dimostrazione piuttosto difficile da ottenere, che va testata su persone sane; è certo più difficile di quanto non lo sia la prova di una guarigione conseguita per effetto di un certo farmaco.
La severità della CE ha però i suoi vantaggi…
In effetti questo rigore, oltre che tutelare il consumatore, costituisce una garanzia per le aziende che operano secondo criteri di correttezza e offrono alimenti che assicurano salute e sicurezza, cioè non tossicità a medio e lungo termine. La normativa rigorosa ha anche il vantaggio di facilitare un’azione coordinata tra la ricerca e l’industria e un dialogo tra i vari protagonisti in campo, al fine di incentivare l’innovazione scientifica e le applicazioni pratiche.
Qual è il ruolo dell’Italia in questo contesto?
L’Italia ha sia ricercatori che aziende leader in questi campi a livello internazionale. Per darle un’idea anche quantitativa del ruolo del nostro Paese, secondo i dati di Federsalus, l’associazione nazionale dei produttori di prodotti salutistici, l’Italia rappresenta il 25% del mercato europeo degli integratori.
Quali saranno le questioni più scottanti sul tappeto nel workshop di oggi?
Verranno affrontati due temi principali. Uno è la collaborazione tra industria e ricerca, quindi l’interazione tra innovazione e applicazioni, compresa l’esigenza di coordinamento e di attivazione di una rete per la progettazione di nuovi alimenti funzionali. L’altro tema è più rivolto al’interfaccia tra nutrizione e clinica e quindi agli aspetti di prevenzione delle malattie: si parlerà ad esempio di diabete, di prevenzione dell’insufficienza cardiaca, di abitudini alimentari e rischio di malattia di Alzheimer, di nutrilipidomica.
Anche qui emerge l’importanza della prevenzione?
Si può dire che la regolamentazione europea per quanto riguarda l’utilizzo degli integratori va nella direzione di assumere dei cibi funzionali o comunque di alta qualità ma funzionalizzati con l’aggiunta di sostanze utili come vitamine o sali minerali o altre, allo scopo di prevenire la degenerazione sia fisica che cognitiva, non necessariamente quella dovuta a malattie ma anche quella fisiologica naturale.
Ma per questo sono proprio necessari gli integratori?
Questo è effettivamente grosso argomento di dibattito, che vede in campo l’industria alimentare e quella degli integratori: perché infatti utilizzare integratori e non invece i cibi normali ma di elevata qualità e funzionalità? Non credo che arriveremo a una conclusione oggi: è un dibattito totalmente aperto.
Inevitabile abbinare gli integratori alimentari all’ambito sportivo: cosa si può dire in merito?
Il tema della nutraceutica ha diverse aree di applicazione, legate alle diverse categorie di persone e alle relative attività: c’è ad esempio la sfera dell’infanzia, dell’adolescenza, della vecchiaia. E c’è quella delle varie attività, come quella sportiva. Come migliorare le prestazioni o comunque mantenere le condizioni fisiche ottimali senza ricorrere a farmaci (o peggio)? Da parte dei ricercatori c’è una costante attenzione a questo settore e una progressiva valutazione, nel tentativo di scongiurare degenerazioni nell’utilizzo di functional foods e di intervenire in tempo per evitare l’uso di prodotti che si possono rivelare tossici o comunque non adeguati.
Come si sta sviluppando la ricerca in questi campi?
Io posso parlare per quanto concerne il livello biochimico: il gruppo dei sedici laboratori di biologia molecolare che coordino nell’ambito del progetto “Tecnologie abilitanti nel Drug Discovery”, affronta il problema dei functional foods dal punto di vista della descrizione molecolare. Siano dei chimici e vogliamo capire quali sono i meccanismi molecolari alla base dell’azione dei principi attivi: quindi capire cosa provoca la degenerazione e come interviene l’elemento nutraceutico. Su questo intendiamo dialogare sia con l’industria che con i biologi e i clinici. Poi, naturalmente, sarà importante l’interazione e il confronto con i consumatori, cioè con i destinatari finali delle nostre ricerche e conoscenze.
(Mario Gargantini)