Da quando nel 1965 Charles K. Kao della STC e Gorge A. Hockham del British Post Office dimostrarono che l’elevata attenuazione delle fibre ottiche allora in circolazione era causata dalle impurità contenute nel vetro – individuando in questo modo l’ostacolo da superare per poter trasmettere segnali ottici a grandi distanze – l’uso delle fibre ottiche è andato rapidamente espandendosi in molti settori tecnologici, in particolar modo in quello delle telecomunicazioni.



Le fibre ottiche, com’è noto, sono sottili filamenti di materiale vetroso (o polimerico) che consentono la trasmissione di luce al loro interno.

Il loro principio di funzionamento è piuttosto semplice e si basa su un fenomeno ottico noto come “riflessione totale”.

In pratica, le fibre ottiche sono composte da due strati concentrici di materiale trasparente: un nucleo cilindrico centrale (core) e un mantello (cladding) di spessore uniforme che lo ricopre.



I due strati devono essere realizzati con materiali di diversa densità ottica (ovvero con differente indice di rifrazione) e il nucleo deve avere una densità ottica superiore a quella del mantello.

In questo modo, quando un raggio luminoso penetra nel nucleo con un corretto angolo d’ingresso, la luce può propagare lungo l’intera fibra rimbalzando ripetutamente sulla superficie di separazione fra nucleo e mantello.

Il motivo per cui il raggio luminoso rimane intrappolato all’interno del nucleo senza sconfinare nel mantello è una conseguenza della riflessione totale, un fenomeno dell’ottica geometrica che si manifesta ogniqualvolta un fascio di luce che propaga da un mezzo più denso a un mezzo meno denso incide sulla superficie di separazione fra i due mezzi con un angolo superiore a un certo angolo critico (detto angolo limite). Il fenomeno dovrebbe essere noto ai pescatori in quanto, nella maggior parte dei casi, il pesce (che sfortunatamente si trova nel mezzo otticamente più denso) a causa della riflessione totale non è in grado di vedere chi gli sta dando la caccia! Ma torniamo alle fibre ottiche. La loro tecnologia è in continua evoluzione e uno degli aspetti su cui si stanno concentrando gli sforzi di numerosi gruppi di ricerca, riguarda la creazione di “fibre multicore” che consentano la trasmissione simultanea di più segnali sulla stessa fibra ottica. Attualmente si riescono a realizzare fibre con numerosi nuclei centrali, tuttavia, quando questo numero è elevato (oggi si arriva anche ad alcune centinaia di nuclei per fibra) incominciano a manifestarsi problemi di scambio di segnali fra canali limitrofi (problema del cross-talking). Per superare questo inconveniente, un gruppo di ricercatori americani (dell’Università del Wisconsin e della Corning Inc.) ha recentemente proposto un nuovo tipo di fibra ottica in cui la trasmissione del segnale non è più demandata alla presenza di un core e di un cladding.



Il meccanismo sfruttato da questa nuova fibra ottica per trasmettere il segnale luminoso si basa su un fenomeno noto come “localizzazione di Anderson”, dal nome del fisico che per questa scoperta aveva ricevuto il Premio Nobel nel 1977.

La scoperta di Anderson riguardava la propagazione di onde in un mezzo fortemente disomogeneo e può essere schematicamente riassunta dall’affermazione secondo cui la diffusione di un’onda luminosa viene completamente inibita se la distanza media fra i difetti del mezzo è inferiore alla lunghezza d’onda della luce.

Sfruttando questo semplice principio, il gruppo di ricercatori americano ha realizzato una fibra ottica con un profilo di indice di rifrazione variabile in maniera fortemente casuale nella direzione radiale ma invariante nella direzione longitudinale (ovvero lungo l’asse della fibra).

In questo modo la luce inviata all’interno della nuova fibra ottica non può propagare radialmente a causa della localizzazione di Anderson ed è pertanto costretta a rimanere confinata all’interno della fibra come in tutte le altre guide ottiche basate sulla riflessione totale.

Tuttavia, a differenza di queste ultime, le nuove fibre a profilo di indice di rifrazione variabile offrono l’enorme vantaggio di accettare all’ingresso luce incidente in qualunque posizione della superficie della fibra (quindi non solo in corrispondenza del nucleo).

Un filmato, realizzato dagli stessi ricercatori, mostra un semplice esperimento in cui si osserva che modificando la posizione di un fascio luminoso incidente sulla superficie di ingresso della fibra, si modifica nello stesso modo anche la posizione spaziale del corrispondente fascio trasmesso in uscita all’altro capo della fibra.

Questa corrispondenza spaziale fra posizione di ingresso e posizione di uscita della fibra potrebbe essere convenientemente sfruttato per la trasmissione di più fasci luminosi nella stessa fibra e risolvere in questo modo i problemi di “cross-talking” presenti nelle fibre multicore convenzionali.