Nell’anno che celebra il sessantesimo della scoperta della doppia elica del DNA, si vivacizza il dibattito critico sulle nostre reali conoscenze della struttura intima dei viventi; ma si susseguono anche gli avanzamenti metodologici e strumentali che amplificano le nostre possibilità di indagine. Nei giorni scorsi, proprio a questi due livelli, ci sono da registrare interessanti novità provenienti dalla West Coast americana. Sul fronte dei metodi spicca quello presentato su Nature Methods da Chen-Shan Chin e colleghi di un consorzio tra la Pacific Biosciences di Menlo Park (California), il Joint Genome Institute di Walnut Creek (California) e l’Università di Washington (Seattle). Il metodo è denominato hierarchical Genome-Assembly Process (hGAP) e rappresenta un processo di preparazione di sequenze genomiche batteriche completamente automatizzato, dalla preparazione del campione di DNA alla determinazione del genoma completo. Siamo nell’ambito di quelle che si chiamano macchine di sequenziamento, che stanno passando verso una nuova generazione tecnologica, in grado di superare le difficoltà dei procedimenti precedenti dove l’esigenza di assemblare brevi sequenze di nucleotidi spesso è fonte di errori.



L’innovazione si inserisce nel percorso già inaugurato proprio dalla Pacific Biosciences con l’introduzione della tecnologia SMRT (Single Molecule, Real-time Technology) e col successivo sviluppo di metodi che abbinano, in modo altamente automatizzato, le lunghe sequenze SMRT con quelle più corte ottenendo genomi completi di alta qualità La tecnologia SMRT sfrutta il naturale processo di replicazione del DNA, un processo molto efficiente e preciso; in pratica, la SMRT permette l’osservazione della sintesi del DNA così come si verifica in tempo reale. L’enzima responsabile della replicazione è la DNA polimerasi che, attaccandosi a un filamento di DNA esamina la base nel punto dove è collegata e determina quale dei quattro nucleotidi è richiesto per replicare quella base; dopo di che la polimerasi incorpora quel nucleotide nel filamento che si sta producendo. Poi l’enzima procede verso la base successiva e il processo viene ripetuto. Ora il nuovo metodo hGAP riesce a evitare le sequenze corte e ad utilizzare come punto di partenza solo lunghi tratti SMRT di una stessa regione genomica. La sequenza più lunga viene presa come riferimento per ordinare tutte le altre e procedere a un confronto tramite un particolare algoritmo. Viene così definita una sequenza “preassemblata” che andrà poi ulteriormente “raffinata” fino a ottenere il sequenziamento finale.



Tutto ciò rappresenta un notevole progresso, anche perché i primi test ne indicano la notevole accuratezza, alla quale si uniscono la semplicità e i relativamente bassi costi di implementazione. L’altra novità è sul versante strumentale e viene dall’Università dello stato di Washington (UW) e da NanoFacture, uno spin-off del medesimo ateneo. Si tratta di un’apparecchiatura portatile in grado di estrarre DNA umano da campioni di liquido con una modalità più semplice, più efficiente e più ecologica rispetto agli strumenti convenzionali. L’estrazione del DNA dai fluidi corporei è un processo complesso che rischia di diventare un collo di bottiglia per le attività di sequenziamento del genoma e per tutte le ricerche e le crescenti prospettive di prevenzione e trattamento di diverse patologie. I metodi convenzionali utilizzano una centrifuga per far girare e separare le molecole di DNA o strapparle da un campione di fluido con un micro-filtro; ma sono processi che occupano da 20 a 30 minuti e possono richiedere l’eccessivo impiego di prodotti tossici. Che cosa hanno fatto allora gli ingegneri del laboratorio di Jae-Hyun Chung, professore associato di ingegneria meccanica alla UW e guida della ricerca?



 

Hanno progettato delle sonde microscopiche che possono essere immerse in un campione di fluido – saliva, espettorato o sangue – dove è applicato un campo elettrico: questo ha la funzione di attirare le particelle facendole concentrare intorno alla superficie della minuscola sonda. Le particelle più grandi colpiscono la punta e vengono deviate, ma le molecole delle dimensioni del DNA restano intrappolati sulla superficie della sonda. Con questo sistema bastano due o tre minuti per separare e purificare il DNA. Le piccole sonde, chiamate micro e nanopunte, sono state progettate e costruite alla UW in una speciale struttura per micro-fabbricazioni in cui un tecnico può effettuare fino a un milione di punte in un anno; il che prova la fattibile della produzione su larga scala. Con la stessa tecnologia il team di Chung ha anche progettato un dispositivo delle dimensioni di una matita che potrebbe essere utilizzato dai pazienti a casa o distribuito, ad esempio, ai militari in servizio all’estero: ciascuno potrà raccogliere un proprio campione di saliva ed elaborare il proprio DNA sul posto per poi mandarlo ai laboratori di analisi. Il dispositivo portatile può trattare quattro campioni di fluidi umani alla volta, ma la tecnologia può essere scalata fino a preparare 96 campioni alla volta, che è uno standard per la gestione su larga scala.