Una delle questioni più interessanti per capire l’evoluzione delle specie sociali, siano batteri, insetti o uomini, è la comprensione del contributo del singolo all’interno dell’unità sociale. Spesso i compiti sono divisi, con individui che si occupano della raccolta di cibo per il sostentamento dell’intera colonia, altri che si occupano della difesa da situazioni di stress ambientali o dall’attacco di predatori o competitori. In molti casi la cooperazione permette un’efficienza maggiore in termini di riproduzione e aumento di individui nella popolazione.



D’altra parte, le ricche società sono sempre state un punto di attrazione per altri individui che, non avendo capacità particolari, per sopravvivere e si appoggiano ai floridi ospiti vivendo degli avanzi garantiti dalle loro ricche mense.

Non esiste però la società perfetta e non è un problema solo umano: anche in natura ci sono organismi che proliferano alle spalle di loro simili, rischiando di portarli sull’orlo del baratro ogni volta che si presenta una difficoltà. Sulla rivista PLOS Biology è uscito, recentemente, uno studio che ha indagato l’andamento di una comunità di lieviti cooperatori, Saccaromyces cerevisiae, che ospita altri lieviti profittatori. Saccaromyces cerevisiae, possiede un gene fondamentale, SUC2, che codifica per la proteina invertasi, indispensabile per scindere zuccheri complessi come il saccarosio che viene reso utilizzabile da tutte le cellule della colonia sotto forma di glucosio.



L’esperimento prevedeva di portare avanti diverse colture di S. cerevisiae aggiungendo in alcune colonie altri lieviti che non esprimessero il gene SUC2, quindi incapaci di provvedere da soli al proprio mantenimento. Si è potuto osservare che l’infaticabile Saccaromyces rendeva disponibile una gran quantità di glucosio permettendo agli ospiti di sfamarsi e di riprodursi con un tasso molto più elevato dei batteri cooperatori. In breve tempo le proporzioni tra gli abitanti della colonia sono cambiate, la porzione di lavoratori è arrivata al 10% del totale e, nonostante questo, il sistema non è collassato e non mostrava segni di sofferenza, sembrava in tutto per tutti al pari delle colonie composte solo da S. cerevisiae. 



Questa labile stabilità è continuata fino a quando lo stato ambientale, controllato in laboratorio, è stato modificato e i nutrienti a disposizione sono stati dimezzati. In questo momento le colonie hanno reagito in un modo diverso: quelle dove tutti i batteri cooperavano sono riuscite a sopravvivere mentre le colonie con i batteri profittatori si sono quasi completamente estinte. Questi dati hanno permesso agli studiosi di perfezionare il classico modello di Lotka-Volterra, che indica la capacità di una comunità di sopravvivere in presenza di profittatori. L’epilogo era scontato ma l’importanza della ricerca è stata la possibilità di misurare il limite di “sfruttamento” nella comunità analizzata.