La notizia è stata diffusa con una certa enfasi: il nuovo materiale messo a punto da un team italo-giapponese promette di “far salire un elefante sulla carrozzeria dell’automobile senza correre il rischio di romperla, calpestare un computer senza spezzarlo o appendere un TIR a un filo”: si tratta di un composito con proprietà simili al kevlar, all’acciaio o alle fibre di carbonio ma molto più resistente, leggero ed economico, realizzato con una metodologia nanotecnologica molecolare innovativa.
La realizzazione di questo nuovo processo, e la sua applicazione a un materiale polimerico, è frutto di una collaborazione interdisciplinare tra l’Università di Milano–Bicocca, con un gruppo coordinato dal professor Piero Sozzani, ordinario di Chimica industriale presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali, e dell’Università di Kyoto, con un gruppo coordinato dal professor Susumu Kitagawa, del Dipartimento di Synthetic Chemistry and Biological Chemistry, Graduate School of Engineering.
Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista Nature Chemistry e descrive un procedimento applicato al polistirene, un polimero dello stirene, comunemente conosciuto come polistirolo e utilizzato ad esempio per i cucchiaini da caffè, per l’imballaggio e l’isolamento termico. Finora, ha detto il professor Sozzani a ilsussidiario.net, si è utilizzato un metodo che prevedeva di «stirare le fibre del materiale polimerico per allinearle e allungarle, un po’ come se si filasse la lana: un procedimento reversibile e non sempre perfetto. Il nostro metodo molecolare e nanotecnologico ottiene invece l’allineamento dei polimeri contestualmente al momento della loro creazione, in modo da rendere “strutturale” l’allineamento stesso. Le catena polimeriche sono tenute in registro da pinze molecolari, come delle minuscole mollette, che consentono alla struttura ordinata di rimanere stabile nel tempo. Il nostro materiale, anche senza un ordine particolare intrinseco, riesce ad avere le catene allineate e riordinate, cosa che normalmente il polistirene non ha: è come aver costruito una tela, particolarmente ordinata a partire da fili che solitamente si aggrovigliano e si intersecano. E sta in questo essere ordinato il suo punto di forza».
In che senso si può parlare di metodo nanotecnologico? Sozzani ce lo spiega così: «è nanotecnologico nel senso che applica questo concetto: generare da una matrice ordinata un altro prodotto che di per sé non sarebbe ordinato; possiamo chiamarlo un trasferimento di ordine, attuato mediante una specie di stampo molecolare, quindi a livello nanometrico. Non è un processo nanotecnologico in senso fisico, cioè con impiego ad esempio di raggi laser o simili che generano particolari configurazioni; è piuttosto in senso chimico, cioè è la riproduzione di un sistema dotato di una certa struttura a livello nanometrico».
Ma di che materiale si tratta? Qualcuno ha parlato di polistirene atattico; ma atattico, precisa Sozzani, è una specifica che vale anche per altri composti. Questo è piuttosto un polistirene altamente orientato: «è polistirene, che però ha le proprietà del kevlar e quindi potrebbe sostituirlo in molte applicazioni importanti ma con costi molto inferiori e su una scala produttiva molto superiore. Pensi alle carrozzerie delle auto, che ora sono realizzate con costose fibre di carbonio: in prospettiva, col nostro polistirene pensiamo di poter abbattere molti costi di produzione».
La scoperta quindi è su due piani. Uno è quello scientifico: per la prima volta si è trovato il modo di tenere queste catene allineate e di poterle bloccare in certe posizioni. La novità sul piano tecnologico invece è di poter avere delle prestazioni molto elevate e di creare dei nano compositi strutturali.
Con questa scoperta diventa possibile applicare un materiale più leggero, più resistente e più economico a differenti ambiti industriali: dall’automotive all’industria navale, passando per l’high tech e l’aerospaziale. Il nuovo materiale può infatti trovare impiego in tutto ciò che è “veicolo”, come la realizzazione di scafi per le navi, di carrozzerie per le automobili, di pale per gli elicotteri, oltre che nelle strutture portanti dei computer. Tradotto in numeri, il nuovo materiale può sopportare il carico di 6-8 tonnellate per cm2, contro le 1,5 dei compositi in fibre di carbonio; inoltre, rispetto alle fibre di carbonio o al più comune kevlar, ha un costo inferiore di almeno 10 volte per chilogrammo.
A questo punto Sozzani e i suoi stanno seriamente pensando di depositare il brevetto.
(Mario Gargantini)