Pensate a dei dispositivi portatili, a basso costo, in grado di effettuare in pochi minuti una grande quantità di analisi su una goccia di campione (ad esempio sangue), senza la necessità di personale specializzato; in un prossimo futuro sistemi del genere potrebbero avere un impatto rilevante in diversi ambiti quali: diagnostica umana, veterinaria e vegetale, sicurezza nelle filiere agro-alimentari e “biodefense”.



È più che una prospettiva quella che si è aperta con la nuova metodologia di analisi biochimiche presentata sulla rivista PNAS e frutto di una collaborazione tutta italiana che, insieme al gruppo di Fisica dei Fluidi Complessi e Biofisica Molecolare del Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università Statale di Milano (coordinato da Tommaso Bellini), ha coinvolto: gli istituti ICRM e IN del CNR, le Università di Brescia e di Milano-Bicocca, la Solvay Specialty Polymers di Bollate (MI) e la start-up Proxentia.



Il principio alla base del metodo (brevettato) consiste nella misura della luce riflessa da uno speciale materiale plastico perfluorurato che diventa sostanzialmente invisibile quando è immerso in acqua, in quanto i due mezzi presentano un indice di rifrazione molto simile. La superficie del materiale è trattata in modo da presentare dei piccolissimi “spot” contenenti degli anticorpi in grado di legare uno specifico marcatore diagnostico il quale, anche in piccole quantità, provoca un incremento apprezzabile della luce riflessa. Ne parliamo con Marco Buscaglia, uno degli autori della ricerca.



Quali sono i vantaggi, rispetto alle metodiche attuali, del metodo che avete messo a punto?

Attualmente la stragrande maggioranza dei test diagnostici o, in generale, dei test biochimici, si svolgono con procedure di laboratorio piuttosto complesse, che richiedono diversi passaggi utilizzando diversi reagenti; l’approccio probabilmente più utilizzato si basa sul cosiddetto metodo ELISA. Queste procedure sono automatizzabili e possono essere eseguite in parallelo su diversi campioni con strumentazione relativamente complessa, ma implicano comunque un tempo totale di esecuzione piuttosto lungo, tipicamente di alcune ore. All’altro estremo, in termini di facilità e rapidità di utilizzo ma di minore accuratezza del risultato, si trovano i metodi cosiddetti “lateral-flow”, basati su “striscette” già preparate con reagenti opportuni. A questa categoria appartiene, ad esempio, il comune test di gravidanza che si può acquistare anche al supermercato. In questo caso, a fronte di una grande rapidità e semplicità di esecuzione, si ha un risultato tipicamente qualitativo e non sempre definito. Inoltre, c’è anche il limite di poter eseguire un solo tipo di test per ciascuna striscetta.  

Mentre la vostra soluzione…?

In questo contesto, la soluzione da noi proposta combina l’accuratezza di un metodo di laboratorio con la semplicità tipica dei metodi lateral-flow. Come per questi ultimi, l’operatore deve solo inserire il campione da esaminare nella cartuccia usa-e-getta e aspettare, senza la necessità di alcun trattamento preliminare. Quindi, non è affatto necessario che il test sia eseguito da personale esperto. Il risultato è quantitativo ed è disponibile dopo pochi minuti. Inoltre, in una singola cartuccia di misura si possono inserire decine di analisi diverse, da eseguire in parallelo sullo stesso campione.

Ad esempio?

Giusto per fare degli esempi, si può immaginare di avere una singola cartuccia per un insieme di indicatori diagnostici per una tipologia di malattia, come l’epatite, o per un insieme di malattie che vengono spesso valutate contemporaneamente, come le malattie infettive sessualmente trasmissibili. Diversamente, nel settore della sicurezza agroalimentare, si può verificare rapidamente e con costi ridotti l’assenza di diversi patogeni in un singolo campione di latte o vino oppure l’assenza di sostanze che possono dare allergie.

Il materiale che utilizzate richiede un particolare trattamento?

Il materiale utilizzato, anche se presenta caratteristiche ottiche peculiari (avendo un indice di rifrazione simile a quello dell’acqua), a prima vista sembra un semplice pezzo di plastica trasparente e non necessita di particolari trattamenti per poter essere utilizzato nel nostro metodo; infatti, può essere lavorato con le metodiche di stampaggio, taglio e lappatura comuni a tanti materiali “standard”. Questa caratteristica contribuisce a mantenere relativamente basso il costo potenziale di produzione delle cartucce di misura.

Il trattamento a più elevato contenuto tecnologico, anzi bio-tecnologico, è quello richiesto per fornire a questa plastica la capacità di catturare le molecole (ad esempio proteine) oggetto del test.

Come si ottiene questa funzione?

 

 

Ricoprendo la superficie del materiale plastico con uno strato di pochi nanometri di uno speciale polimero, sviluppato dal gruppo del ICRM-Cnr coordinato da Marcella Chiari. Su di esso vengono deposti e immobilizzati gli anticorpi che riconoscono e catturano le molecole bersaglio. Ogni anticorpo ha una dimensione di una decina di nanometri e questi vengono deposti in modo da formare degli “spot” spessi quanto un singolo anticorpo e larghi circa un decimo di millimetro. Lo spessore totale del materiale deposto sulla superficie della plastica, anche durante l’esecuzione del test, è quindi di poche decine di nanometri e questa è una caratteristica essenziale per il metodo proposto, che non potrebbe funzionare adeguatamente con spessori più elevati.

Perché si è pensato allo smartphone come dispositivo applicativo?

Dopo aver sviluppato e messo a punto un paio di prototipi basati su questo metodo, ci siamo resi conto che i componenti davvero essenziali erano semplicemente una qualunque sorgente di luce, una buona fotocamera e un’elevata capacità di calcolo, richiesta per l’elaborazione delle immagini. Sono caratteristiche che da pochissimi anni si trovano tutte rinchiuse in un’unica tipologia di prodotto, dal costo di mercato relativamente contenuto: gli smartphone, appunto. I dettagli legati all’utilizzo del nostro metodo di rilevazione con uno smartphone sono oggetto di un articolo scientifico attualmente in preparazione.

Oltre al semplice aspetto dimostrativo, l’utilizzo di uno smartphone presenta anche una motivazione più concreta sul piano dello sfruttamento commerciale del metodo. La start-up Proxentia, una spin-off dell’Università di Milano, fondata da alcuni componenti del nostro gruppo, sta sviluppando una nuova generazione di prototipi basati appunto sull’integrazione di uno smartphone con gli altri componenti necessari per il funzionamento del dispositivo finale (componenti ottici e cartuccia di misura). In tal modo si abbattono notevolmente i costi e i tempi di realizzazione di un prototipo perfettamente funzionante, con ottime prestazioni e dai costi decisamente contenuti rispetto ad un dispositivo formato da componenti elettronici realizzati ad hoc, che invece è più adatto per una produzione su larga scala.

Su che tipo di applicazioni vi state concentrando?

Fabio Giavazzi e Matteo Salina, i primi autori dello studio pubblicato su PNAS, dopo aver sviluppato con noi il metodo, nel nostro laboratorio del LITA di Segrate, si stanno ora dedicando al progetto di commercializzazione di questa invenzione attraverso Proxentia. Come accennato, i potenziali campi di applicazione sono molteplici e, auspicabilmente, l’utilizzo in dispositivi commerciali pensati per un determinato ambito dovrebbe facilitarne il successivo inserimento anche in altri contesti. Come primo campo di applicazione si è quindi pensato alla sicurezza e al controllo di qualità nel settore agro-alimentare, un ambito su cui si concentra un’attenzione crescente e certamente di importanza strategica per l’Italia sul piano internazionale.

Più in particolare?

Proxentia sta avviando lo sviluppo di diverse cartucce, ciascuna in grado di fornire un pannello di test piuttosto completo per un determinato prodotto, come ad esempio vino, latte o farine alimentari. Le analisi da svolgere in parallelo, si riferiscono, a secondo del particolare prodotto, alla presenza di pesticidi, allergeni, tossine o microorganismi patogeni. Poter svolgere più rapidamente, in parallelo e con costi contenuti questo tipo di analisi sui prodotti agro-alimentari nelle diverse fasi del loro percorso verso il consumatore finale, permetterebbe di ridurre ulteriormente i rischi di contaminazioni potenzialmente nocive e di incrementare quindi la qualità complessiva dei prodotti stessi.

 

(Mario Gargantini)