Julius Richard Petri, di cui oggi si ricorda la nascita avvenuta il 31 maggio del 1852,  costituì insieme al futuro premio Nobel della medicina, Robert Kochuna una coppia fondamentale per gli sviluppi della medicina come oggi la conosciamo. Spiega infatti il professor Fabrizio Pregliasco, contattato da ilsussidiario.net, che “fu proprio in quegli anni, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del Novecento, che si è cominciato a scoprire i batteri come causa delle malattie infettive. Prima infatti non si riusciva ad isolare i batteri e avere quindi la conferma di causa. Quelli in cui vissero Petri e Kochuna furono gli anni di maggior sviluppo dello studio sui batteri e le malattie infettive: da una condizione “zero” si è scoperto e compreso un mondo che prima non avevamo la possibilità di individuare e studiare”. Petri in particolare viene ricordato ancora oggi per aver inventato la cosiddetta “piastra di Petri” o “capsula di Petri”, tutt’oggi il più diffuso contenitore per terreni di coltura solidi o semisolidi. Pregliasco ci spiega l’importanza della sua invenzione: “La capsula di Petri ha la peculiarità di sistematizzare le modalità di riproduzione in vitro dei batteri permettendo di individuare dei substrati standardizzati. Il bello di questo sistema è la capsula come tale, con la sua forma in vetro e con questo tappo di apertura che poi non è un tappo perché lascia entrare l’ossigeno che serve alla crescita dei batteri”. Una idea geniale, dice Pregliasco. “L’idea geniale”, spiega, “è quella di utilizzare queste vaschette per ospitare uno strato multiforme e standardizzato di terreno di coltura, che serve come cibo ai batteri. Ci sono cibi diversi, personalizzati, ma la base è l’agar, con variazioni sul tema per facilitare o meno la crescita di diversi batteri. L’esigenza individuata da Petri era quella di avere un sistema che mantenesse il terreno e permettesse di costruire e rendere visibili i batteri”. Un tempo, spiega Pregliasco, si utilizzava la cosiddetta cucina, perché venivano utilizzati veri e propri cibi preparati in cucina: “Si spalmavano poi nelle capsule. Oggi le capsule si comprano con un terreno nutritivo specifico prodotto in quantità, e spesso sono di plastica, “usa e getta”, mentre una volta andavano per la maggiore quelle di vetro, da sterilizzare ogni volta. Dunque la capsula permette di ospitare uno strato di qualche millimetro della sostanza che viene usata come cibo del batterio che vogliamo individuare. Si spalma il campione che pensiamo contenga il batterio e si sfrutta la peculiarità di questo terreno nutritivo in cui si vede macroscopicamente la crescita dei batteri. Perché i batteri hanno una crescita esponenziale, quindi se nel campione ce ne sono anche solo uno o due, con la messa in cultura su un terreno efficace e in appositi termostati a temperature controllata, si ha la replicazione dei batteri. La colonia si accrese, diventa visibile e questo ci permette di isolarla e di fare altri passaggi, ad esempio testare diversi tipi di antibiotici”. Cosa succede a questo punto? “Scopriamo se l’antibiotico funziona o meno, perché se funziona nella capsula si crea un vuoto proprio nel punto dove abbiamo messo l’antibiotico giusto. Quindi abbiamo la possibilità di vedere dal vivo la sensibilità o meno agli antibiotici. Prima di Julius Petri era molto difficile individuare i batteri. Si usavano delle provette che si mettevano di traverso, magni laboratorio faceva a modo suo e i risultati non erano comparabili, perché i metodi erano diversi”.



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