La fabbricazione di micro-ponti di germanio aumenta la deformazione del materiale mettendolo in grado di emettere luce laser.

Il germanio non sarebbe adatto come sorgente laser ma se viene sottoposto a elevati sforzi di tipo tensile avviene una modificazione dei livelli elettronici responsabili dell’emissione laser e può emettere molta più radiazione luminosa di quanto non avvenga col materiale in deformato; certo, le forze da applicare sono enormi: pari a circa 300.000 kg per centimetro quadrato, equivalenti allo sforzo che un solo dito dovrebbe sostenere per sollevare un Tir.



Ma questo non ha scoraggiato i gruppi di scienziati italo-svizzeri che hanno ottenuto l’importante risultato ò pubblicato sull’ultimo numero di Nature Photonics – e che promette grandi vantaggi nei processi di produzione dei microprocessori e quindi per il futuro dei computer. Ne abbiamo parlato con Giovanni Isella, ricercatore del Politecnico di Milano (polo di Como), uno degli autori della ricerca.



Cosa c’entrano i laser con i microprocessori dei computer?

Riguardano la possibilità di continuare a utilizzare l’elettronica al silicio e allo stesso tempo aumentare le performance dei dispositivi. Siamo ormai arrivati ai limiti fisici dei microprocessori: più piccoli non si può, proprio per fenomeni fisici legati alla meccanica quantistica.

Quello che si può fare, e in parte già si fa, è avere più processori in un computer: già ora i nostri laptop hanno due o quattro processori; la prospettiva per i prossimi anni è che diventino decine o addirittura centinaia.

Il problema allora sarà come connetterli: attualmente i quattro processori dei più moderni Pc comunicano tramite piste di rame che però, come è noto, hanno problemi di dissipazione di energia e di lentezza nella trasmissione del segnale. L’idea innovativa è di farli comunicare mediante uno strato fotonico: un processore trasforma l’informazione da elettronica in luminosa, in pratica in un impulso laser, che viaggia senza i due problemi suddetti; una volta giunta all’altro processore l’informazione fotonica viene ritrasformata in elettronica.



È una tecnologia denominata Optical Interconnect e i big dell’informatica, da Intel a Ibm e tutti gli altri, stanno pensando seriamente a questo tipo di soluzione per aumentare le prestazioni dei computer.

Perché avete pensato proprio al germanio?

Di per sé il germanio non è un buon materiale per fare laser; infatti i laser a stato solido dei dispositivi attuali sono generalmente realizzati con arseniuro di gallio o comunque con leghe di semiconduttori del gruppo III-V. Tuttavia questi materiali non possono essere integrati su silicio in modo semplice; quindi il tentativo che si sta facendo è utilizzare un materiale come il germanio, dotato di compatibilità col silicio (stanno nello stesso gruppo della tavola periodica).

Nel suo stato naturale il germanio non è in grado di emettere luce laser ma applicandogli una forza sufficientemente elevata, deformandolo e cambiando la simmetria del cristallo il materiale assume la proprietà emissiva.

È un po’ come, mi si passi il proverbio, cavare il sangue dalle rape, ma è l’unico modo oggi conosciuto per ottenere le alte prestazioni mantenendo la compatibilità con gli attuali semiconduttori e tutta la relativa infrastruttura produttiva.

Quindi in cosa consiste la scoperta dei vostri gruppi?

L’idea che applicando una deformazione adeguata il germanio possa diventare una materiale laser circola già da qualche anno e altri gruppi ci stanno lavorando, in primis il Mit di Boston e l’università californiana di Stanford. Però finora erano stati applicati livelli di forza molto più bassi nessuno era arrivato a valori così elevati.

Nell’articolo che abbiamo pubblicato su Nature Photonics non viene ancora descritto un laser al germanio ma c’è la presentazione di un metodo efficace per poter applicare sforzi sufficienti a permettere il passaggio del germanio alla condizione di emettitore laser. La pubblicazione dell’articolo è di fatto il riconoscimento del valore di tale metodo.

Come si è sviluppata la collaborazione tra i vostri gruppi?

La ricerca vede coinvolti tre gruppi: due istituti svizzeri – il Paul Scherrer Institute, dove opera il coordinatore del progetto Hans Sigg, e il Politecnico Federale di Zurigo – e il Politecnico di Milano (sede Como). Abbiamo in pratica quattro tipi di competenze .

Una è la nostra (con me operano Jacopo Frigerio e Daniel Chrastina), che riguarda sia la procedura di deposizione del germanio cristallino su silicio sia l’introduzione nel germanio dello sforzo iniziale che poi viene amplificato dalla fabbricazione dei micro ponti: quando lo strato di silicio con sopra il germanio lascia il laboratorio di Como e va in Svizzera, ha già una piccola deformazione, dell’ordine dello 0,15% di quella richiesta.

I colleghi dello Sherrer amplificano tale deformazione fabbricando i micro ponti mentre quelli del Politecnico zurighese si occupano della parte fotonica in senso stretto, cioè di progettare la cavità laser.

Quali passi restano da compiere per la realizzazione di questi laser al germanio?

Mancano due passaggi. Il primo è la possibilità di drogare il germanio con fosforo in modo corretto: bisogna aumentare il numero di elettroni nel cristallo ma non troppo, per evitare che venga riassorbita la luce laser; stiamo quindi lavorando per trovare il livello di drogaggio adeguato. L’altro passaggio, quello più sfidante, è di creare una cavità risonante che sia compatibile con la geometria di questi micro ponti.

Potrebbero esserci altre applicazioni?

L’obiettivo primario di queste ricerche è arrivare al laser al germanio decisamente finalizzato alle connessioni laser tra microprocessori; per le altre applicazioni dei laser ci sono già materiali adatti. Tuttavia si potrebbe immaginare l’impiego dei futuri laser a germanio nella sensoristica per la sicurezza o anche in campo medicale, in quanto la lunghezza d’onda delle emissioni sarà nel lontano infrarosso, una zona dello spettro dove ci sono molte interessanti molecole che assorbono (come la CO2): si potrebbe pensare anche alle applicazioni note come lab on chip, ovvero riprodurre su un solo chip l’equivalente di un laboratorio chimico o biochimico.

(Mario Gargantini)