Da sette anni il pianeta Venere è un sorvegliato speciale: da quando cioè, il 7 maggio 2006, la sonda Venus Express dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) è entrata nella sua orbita a un’altezza che varia tra i 66.000 metri e i 250 km dalla superficie del pianeta, impiegando una giornata terrestre per completare un’orbita. La missione doveva concludersi l’anno dopo ma, dati i brillanti risultati ottenuti e la grande funzionalità delle apparecchiature, è stata successivamente prorogata e ancora si discute quanto farla continuare.
Obiettivo scientifico principale della missione è cercare una risposta al perché Venere, pur avendo dimensioni, composizione e distanza dal Sole comparabili con la Terra ha avuto un’evoluzione completamente diversa che lo ha portato ad avere atmosfera e condizioni al suolo totalmente differenti; con temperature che, per l’intenso effetto serra, si avvicinano ai 500 °C e pressioni fino a 200 atmosfere.
Molto si è scoperto in questi anni e per fare il punto sui risultati e le prospettive dell’esplorazione venusiana da oggi sono riuniti presso il Museo Diocesano di Catania astrofisici da tutto il mondo per il 4° International Venus Workshop. Ilsussidiario.net ha incontrato Giuseppe Piccioni, dello IAPS-INAF di Roma e tra i principali protagonisti di Venus Express.



Questo workshop giunge in un momento di grandi novità circa Venere?
Non ci sono scoperte eclatanti in questo periodo ma da Venus Express e dallo studio dei suoi dati ci sono continui risultati che è importante confrontare e discutere con una comunità scientifica più ampia rispetto a coloro che sono coinvolti in questa missione ESA. Nei prossimi giorni discuteremo di tutto quello che emerge anche dalle altre osservazioni, come quelle dai telescopi terrestri, o dalla revisione dei dati accumulati dalle passate missioni.



La scelta di Catania come sede richiama l’interesse per il vulcanismo di Venere, quindi più in generale sugli aspetti geologici, sui fenomeni superficiali e il loro nesso con la conoscenza dell’interno del pianeta. Cosa possiamo dire attualmente?
Qui ci sono interessanti novità. Bisogna premettere che Venere è un pianeta difficile da osservare con strumenti tradizionali in orbita, perché è coperto da una densa coltre di nubi. Servono quindi tecniche più sofisticate, come le strumentazioni sensibili all’infrarosso. Dalle osservazioni degli ultimi anni abbiamo raccolto dei segnali che inducono a pensare che ci sia un vulcanismo attivo. Già negli anni scorsi, tramite lo strumento VIRTIS (Visible and Infrared Thermal Imaging Spectrometer) – uno spettrometro ad immagine nello spettro visibile/vicino infrarosso, che fornisce dati relativi all’atmosfera, alla superficie e alle loro interazioni – siamo riusciti a individuare delle zone della superficie, che chiamiamo hot spot, dove c’è un’attività geologica, in particolare un vulcanismo, abbastanza recente; lo deduciamo dal tipo di lava, dalla sua colorazione scura che suggerisce l’epoca della sua formazione. Naturalmente, recente va inteso in senso geologico. Ci sono anche altri segnali che indicano la presenza di sostanze chimiche derivanti dal vulcanismo, come anidride solforosa o ossido di carbonio, la cui periodicità è indizio di attività vulcanica.



Di che tipo di vulcanismo si tratta?
È un tipo di vulcanismo simile a quello terrestre, anche se va ricordato che su Venere non c’è un meccanismo analogo a quella della nostra tettonica delle placche. Quando dico terrestre, mi riferisco però non tanto a un caso come quello dell’Etna, quanto piuttosto alla situazione dei vulcani presenti nelle Hawaii, dove la lava proviene da zone molto profonde.

Per quanto riguarda l’atmosfera, c’è un’intensa attività di modellistica: come questa ha migliorato le conoscenze?

L’attività di modellistica atmosferica è molto importante. Recentemente abbiano adottato modelli abbastanza simili a quelli utilizzati per studiare l’atmosfera terrestre. La cosa interessante è che Venere è un pianeta in qualche modo estremo, quindi è una sorta di laboratorio utile per fare previsioni su situazioni che anche da noi potrebbero diventare estreme; pensiamo al caso di effetto serra che raggiungesse livelli tali da diventare irreversibili: su Venere è accaduto proprio questo. Quello che troviamo applicando i modelli a Venere diventa in pratica una validazione dei modelli stessi, che saranno poi applicabili alla Terra e agli altri pianeti, compresi quelli extra solari.

 

Qual è la situazione della missione Venus Express?
Venus Express è tuttora operativa e continua a fornirci dati molto preziosi ed è l’unica missione presente sul Pianeta, a differenza ad esempio di Marte che è un po’ più “affollato”. Attualmente l’ESA ha pianificato le operazioni fino alla fine del 2014 ma proprio in questi giorni si sta discutendo un’ulteriore estensione. Dovrebbe proseguire fino a quando il carburante sarà sufficiente a mantenerlo attivo. C’è anche l’ipotesi, finora mai sfruttata dall’ESA, di utilizzare la stessa atmosfera di Venere, proprio per le sue caratteristiche peculiari, come una sorta di “carburante”, mediante una tecnica speciale, detta aero-breaking, per correggere la traiettoria della sonda praticamente senza far uso di carburante; una tecnica applicabile quando il satellite è sufficientemente lontano dalla superficie del pianeta, a circa 100 chilometri di altitudine.

 

Qual è il contributo italiano?
È un contributo notevole. Partecipiamo con Virtis, come ho detto, in gran parte ideato, progettato e realizzato in Italia dal nostro istituto (IAPS-INAF) e dalla Società Selex Galileo per conto dell’ASI; tenga conto che circa la metà dei risultati dell’intera missione derivano dalle osservazioni di Virtis. L’Italia partecipa anche col PFS (Planetary Fourier Spectrometer, dell’IFSI-INAF di Roma) per le scansioni verticali dell’atmosfera e ha contribuito allo strumento ASPERA-4 (Analyzer of Space Plasmas and Energetic Atoms) per lo studio delle interazioni tra vento solare e atmosfera venusiana, gemello di quello in volo su MarsExpress.

(Mario Gargantini)