Uno dei verbi che va per la maggiore da un po’ di tempo è “raccontare”; un verbo che in molti ambiti ne sta rimpiazzando altri come dire, descrivere, spiegare. Si parla molto di “imparare dalle storie”, di racconti che diventano fonte e forma di conoscenza e di trasmissione della conoscenza.
C’è quest’anno una storia che viene narrata in occasione di un anniversario “rotondo”: è quella dei 150 del Politecnico di Milano, che potranno sentir (e veder) raccontare coloro che visiteranno la mostra Tech Stories, esposta (pardon, raccontata) al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano da ieri fino al 10 dicembre 2013, giorno del cinquantesimo anniversario del Premio Nobel a Giulio Natta. Attraverso due percorsi espositivi complementari, vengono riportate alla ribalta storie di ingegneria, di architettura, di design, di scoperte e innovazioni che costellano questo secolo e mezzo di vita dell’ateneo milanese; storie che hanno lasciato un segno non solo a Milano, ma in tutto il Paese e, in alcuni casi, nel mondo intero.
Sono vicende che forse non interessano solo qualche (o tanti) nostalgico ingegnere o architetto; nell’intenzione dei curatori non vuol essere una rievocazione celebrativa e neppure uno sguardo sul passato a fini documentaristici: è un’occasione per ripensare al ruolo che una università come “il Poli” ha avuto e ha sulla cultura e sulla società italiana, alla funzione della tecnologia e dell’innovazione come leva per la crescita e lo sviluppo.
Una riflessione che va oltre i confini di una specifica istituzione e di una città. Ci possiamo chiedere infatti: cosa cercare nella storia del Politecnico? Ma, più in generale, come leggere la storia della tecnologia? Si penserà subito: bisogna guardare alle invenzioni, alle macchine, o, come si preferisce oggi, alle “soluzioni” che sono uscite dai laboratori e dagli studi di tante menti creative.
Certo, è interessante passare in rassegna i prodotti dell’ingegno; soprattutto se, parlando appunto delle “soluzioni”, viene messo in evidenza qual era il problema che si doveva risolvere. Spesso però non si fa così. Spesso, esaminando il panorama dell’offerta tecnologica veicolata dalla pubblicità o dai media specializzati, non si capisce bene per che cosa quella era una soluzione, qual era l’impellente domanda alla quale si offriva la brillante risposta. Salvo capire poi che forse non c’era neppure il problema da risolvere e che la domanda è nata dopo la risposta.
Il focus quindi non può essere solo sui prodotti; da questi l’attenzione si dovrà spostare sugli uomini, sui protagonisti dell’avventura tecnologica. Ma, anche qui, non tanto sul genio solitario, sul brillante inventore o, come si dice oggi, sul visionario, sul guru: più interessare è cercare di rintracciare dei maestri, delle persone che hanno fatto scuola, che hanno aperto strade da seguire, che hanno educato e motivato collaboratori, giovani e meno giovani. In modo significativo la mostra inizia rievocando i maestri e lungo tutto il percorso vengono messe in rilievo le figure di alcuni studiosi che hanno segnato la storia dell’ingegneria, dell’architettura e del design.
A cominciare da Francesco Brioschi, che nel 1863 ha fondato l’Istituto Tecnico Superiore, poi
Evolutosi nel Politecnico. E poi altri nomi ben noti come Giovanni Battista Pirelli, che nel 1872 ha introdotto in Italia la produzione industriale della gomma; o il già citato Natta, Premio Nobel per la Chimica nel 1963 con la scoperta del polipropilene isotattico che ha portato la plastica in tutte le case; o ancora, Enrico Forlanini, che nel 1877 ha realizzato il modello sperimentale di elicottero, primo oggetto in grado di sollevarsi in aria grazie alla spinta di un motore. Sul versante architettura, grandi maestri sono stati Gio Ponti, Aldo Rossi e Renzo Piano e nel design personaggi come Achille Castiglioni e Marco Zanuso, le cui creazioni sono diventate vere e proprie icone.
Al di là del Politecnico, come rintracciare nel panorama tecnologico i maestri? Che cosa più li identifica e li qualifica come tali? Alcune piste di risposta le ha offerte l’attuale rettore Giovanni Azzone, cercando di trarre dai protagonisti di questi 150 anni una lezione in tre punti. Anzitutto si tratta di persone appassionate: nel creare, nel progettare, nel costruire, nell’educare; poi è gente con una grande capacità di resistenza di fronte gli ostacoli, che non si lascia facilmente scoraggiare di fronte ai “non si può”; infine, sono persone con una spiccata capacità di scelta, col coraggio di prendere decisioni, imboccando certe strade e lasciandone altre. Emblematica in proposito la vicenda di Pirelli che, neolaureato, durante un viaggio premio scopre la lavorazione industriale del caucciù e decide subito di introdurla in Italia.
A queste tre caratteristiche, riteniamo che si debba aggiungere l’attitudine a riflettere sulla propria esperienza per farne emergere un metodo, che si possa comunicare e trasmettere. Dove metodo non significa uno schema fissato una volta per tutte, un’insieme di procedure standardizzate. È piuttosto una modalità di affronto dei problemi, che si alimenta nell’esperienza, che si precisa e si arricchisce nel confronto con le specifiche situazioni, non smettendo mai di imparare dalla realtà.
Analogamente, anche la creatività non va intesa come una sorta di magia, una dote sovrumana data solo ad alcuni. Certo, in alcuni emerge in modo spettacolare e nel momento giusto; ma tutti poco o tanto ne possono partecipare. Il maestro sarà allora chi si preoccupa di porre e garantire le condizioni, tutte le condizioni (culturali, ambientali, economiche …), perché la creatività possa fiorire e manifestarsi.
Forse si tratterà di reinventare, adeguandola all’odierno contesto ipertecnologico e competitiva, la dinamica maestro-allievo che si stabiliva nelle botteghe degli artigiani medievali.