I primi interessanti risultati circa la possibilità di realizzare micro-batterie in grado di coniugare potenza e durata, erano arrivati nello scorso aprile, da un team di ingegneri dell’Università dell’Illinois di Urbana-Champaign: commentandoli su queste pagine, Nicola Sabatini si chiedeva «Quando potremo avere questo tipo di novità tra le mani?». Ebbene, quella data sembra avvicinarsi; e in un modo che aggiunge un ulteriore elemento di curiosità e di sorpresa.
Dall’Università di Harvard infatti, arriva la notizia che presto le micro batterie a ioni di litio si potranno avere, che avranno le dimensioni di un granello di sabbia e che a produrle saranno delle stampanti 3D. Ad ottenere il promettente risultato– e a darne una dimostrazione rigorosa sull’ultimo numero dalla rivista specializzata Advanced Materials – è stato un team guidato da Jennifer Lewis quando ancora era ricercatrice presso l’Università dell’Illinois di Urbana-Champaign in collaborazione con Shen Dillon, Assistant Professor di Scienza dei Materiali e Ingegneria nel medesimo ateneo statunitense; ora la Lewis è passata ad Harvard dove è membro del nucleo centrale dell’Istituto Wyss ed è Hansjörg Wyss Professore di “Ingegneria di ispirazione biologica” presso la School of Engineering and Applied Sciences (SEAS).
Per realizzare le microbatterie, Lewis e Dillon sono ricorsi alle stampati 3D riuscendo per la prima volta a interconnettere pile di minuscoli elettrodi ciascuno inferiore allo spessore di un capello umano.
Negli ultimi anni gli ingegneri hanno inventato molti dispositivi miniaturizzati, tra i quali impianti medici, robot volanti simili a insetti e piccole telecamere e microfoni che si adattano su un paio di occhiali. Spesso però le batterie che forniscono la necessaria alimentazione a tali apparecchiature sono grandi come o più dei dispositivi stessi; il che contraddice l’obiettivo di costruire oggetti di minuscole dimensioni. Per superare il problema, solitamente i produttori sono ricorsi alla tecnica di depositare film sottili di materiali solidi per costruire gli elettrodi.
Tuttavia, dato il loro design ultra-piatto, queste microbatterie a stato solido non riescono ad immagazzinare energia sufficiente per alimentare dispositivi miniaturizzati di domani. Gli scienziati hanno allora capito che si sarebbe ottenuta più energia se si fossero potute realizzare pile di elettrodi ultrasottili strettamente intrecciati, uscendo dalle dimensioni dal piano. Per questo si sono rivolti alle stampanti 3-D. Queste operano seguendo le istruzioni fornite dai disegni tridimensionali di un computer per costruire da zero un oggetto fisico, depositando strati successivi di materiale – inchiostri – proprio come si fa per impilare un mazzo di carte una alla volta. La tecnica è utilizzata in una varietà di campi: dalla produzione di corone nei laboratori odontotecnici alla prototipazione rapida nei settori aerospaziale, automobilistico e dei beni di consumo.
Il gruppo di Lewis ha però notevolmente ampliato le capacità della stampa 3D. Hanno progettato una vasta gamma di inchiostri funzionali, cioè di inchiostri con proprietà elettriche e chimiche appropriate. Hanno poi utilizzato questi inchiostri con stampanti 3-D appositamente costruiti per creare precise strutture con determinate proprietà elettroniche, ottiche, meccaniche e biologicamente rilevanti.
Per arrivare a questo risultato, Lewis e i suoi hanno prima creato e testato diversi inchiostri specializzati. Diversamente dall’inchiostro di una stampante a getto d’inchiostro per ufficio – che esce in goccioline di liquido per andare a bagnare la pagina – gli inchiostri per la stampa 3D a estrusione devono soddisfare due requisiti difficili: devono uscire da sottili ugelli come il dentifricio da un tubetto, e devono indurirsi subito assumendo la loro forma finale. Nel caso delle batterie, gli inchiostri devono anche funzionare come materiali elettrochimicamente attivi, per creare anodi e catodi funzionanti; devono inoltre indurire in strati molto stretti, come quelli prodotti con metodi di fabbricazione a film sottile.
Per raggiungere questi obiettivi, i ricercatori hanno creato un inchiostro per l’anodo con nanoparticelle di un composto di ossido di litio metallo (LiMO2), e un inchiostro per il catodo con nanoparticelle di un altro composto. La stampante depositati gli inchiostri sulla dentatura di due pettini d’oro, creando una pila strettamente intrecciata di anodi e catodi. Poi hanno impaccato gli elettrodi in un piccolo contenitore e lo hanno riempito con una soluzione elettrolitica per completare la batteria.
Successivamente, hanno misurato quanta energia potrebbe essere accumulata nelle piccole batterie, quanta energia potrebbe essere fornire e quanto tempo avrebbero tenuto la carica. Il risultato è stato che le prestazioni elettrochimiche sono paragonabile a quelle delle batterie commerciali, in termini di carica, di tasso di scarica, ciclo di vita e densità di energia: solo che tutto ciò viene realizzato su una scala molto più piccola.
La strada quindi è aperta per “mandare in stampa” le microbatterie agli ioni di litio e per dar vita, in campi dalla medicina alla comunicazione, a tanti piccoli dispositivi già progettati ma finora bloccati sui banchi dei laboratorio per mancanza di batterie abbastanza piccole.