La galassie sono i componenti, i “mattoni”, che compongono l’Universo su larga scala. Sebbene elementari dal punto di vista cosmologico, ciascuna galassia è un sistema estremamente complesso formato da stelle (circa 100 miliardi in ognuna), materia oscura e polveri. In una serena notte d’estate lontano dalle città, la nostra Galassia ci appare appunto come una distesa luminosa, qua e là oscurata da polvere interstellare.
Vi è tipicamente un “personaggio scomodo” che partecipa all’evoluzione di ciascuna galassia. Le galassie (più precisamente: tutte le galassie in cui è stato cercato), ospitano un buco nero supermassiccio al loro centro. I buchi neri sono formalmente soluzioni della teoria della relatività generale di Einstein: regioni dello spazio-tempo disconnesse dal resto dell’Universo; percorsi “a senso unico”, in cui le informazioni possono solamente entrare e non uscire.
Prove sperimentali sull’esistenza di buchi neri supermassicci provengono generalmente da una classe di fenomeni astrofisici noti come AGN (Active Galactic Nuclei): forti emissioni, prevalentemente in banda X, provenienti dalle zone centrali della galassia. In generale, se un oggetto è osservato variare coerentemente la propria luminosità, esso deve essere piccolo a sufficienza perché le sue parti possano comunicare fra loro per mettersi d’accordo ed emettere la luminosità osservata. La misura dei tempi di variazione permette dunque di porre limiti alla dimensione degli oggetti osservati. Solo singoli oggetti supermassicci (tra un milione e un miliardo di masse solari) possono spiegare la forte luminosità misurata negli AGN.
Sebbene il buco nero ospitato in una galassia sia molto massivo, la sua massa rimane migliaia di volte inferiore rispetto alla massa della galassia stessa: a prima vista, l’influenza del buco nero sull’ambiente galattico può sembrare trascurabile. Tuttavia, numerose prove osservative raccolte dalla fine degli anni ‘90, hanno mostrato che le galassie co-evolvono con il proprio buco nero. C’è notevole interazione, non completamente compresa, fra l’ambiente galattico nel suo complesso e questo “ospite indesiderato” supermassiccio: galassie più massive e con stelle in moto caotico tendono ad esibire un buco nero di massa maggiore.
Viceversa, le masse dei buchi neri sono più piccole se ospitate in ambienti con meno stelle in moto più regolare. Lo studio dei buchi neri supermassicci è quindi una via privilegiata per comprendere l’evoluzione dei sistemi galattici.
Perché i buchi neri emettono luce? L’emissione osservata non proviene certo da quel percorso a senso unico che è il buco nero, bensì dal materiale in accrescimento. Se del materiale (tipicamente gas e polvere) cade nella zona di influenza del buco nero, esso cede solo parte della sua energia gravitazionale al buco nero stesso: il rimanente viene emesso sotto forma di luce verso l’esterno. Il materiale in accrescimento attorno a buchi neri si dispone sotto forma di disco piuttosto che nube, andando a nutrire il buco nero da un singolo piano.
Attorno a tale disco da cui il buco nero accresce massa (e quindi emette luce!), altra polvere viene attratta dalla forte gravità dell’oggetto centrale e va a disporsi in una struttura esterna a forma toroidale (cioè come una ciambella). L’opacità di questa polvere (dedotta dalla presenza di righe spettrali particolarmente larghe) oscura parte della luce proveniente dal buco nero causando una variabilità che dipende dall’orientazione del toroide nel cielo. La presenza di queste strutture viene dedotta dalla distribuzione e dalla variabilità dell’emissione della sorgente AGN.
Recenti osservazioni della galassia NGC 3783 aggiungono un importante dettaglio alla nostra attuale comprensione di questi sistemi. Un team scientifico capitanato da Sebastian F. Honig (University of California, Santa Barbara) ha utilizzato la potenza combinata dei quattro telescopi della rete europea VLTI (Very Large Telescope Interferometer) per un’analisi dettagliata delle vicinanze del centro galattico del vicino AGN denominato NGC 3783. Le informazioni raccolte dai quattro telescopi sono state combinate in un unica osservazione interferometrica. L’interferometria, sebbene non produca immagini, permette di scandagliare nel dettaglio piccole regioni in oggetti distanti, quali i dintorni del centro galattico di NGC 3783.
Con tale potente strumento è stata rilevata la presenza di una nuova componente nel complesso scenario di interazione fra la galassia e il suo buco nero centrale. Mentre la polvere calda e opaca si dispone in forma toroidale attorno al disco di accrescimento, grande quantità di polvere fredda si portano sopra e sotto di esso. Tale struttura può essere dovuta all’interazione fra la polvere stessa e la radiazione in uscita. La polvere attorno al buco nero viene spazzata via dalla forte emissione elettromagnetica causando un vero e proprio vento che ammassa la polvere stessa fuori dal toroide esterno.
Questo “nuovo” vento di polvere sfida gli attuali modelli di formazione e crescita di buchi neri supermassicci in ambiente galattico. La sua osservazione è un altro tassello verso la comprensione dell’evoluzione congiunta fra galassie e buchi neri. Anche fra galassie, polveri e buchi neri, la dinamica scientifica rimane la stessa: osservazioni e modellistica continuamente in dialogo per descrivere, e quindi capire, il fenomeno naturale. Con la differenza affascinante che in astrofisica lo scienziato è sempre uno spettatore: l’esperimento “succede” per noi nel cielo in NGC 3783.
(di Davide Gerosa)