I primi test di trapianto di cellule staminali celebrali umane su sei pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla) hanno dato esiti positivi. Non ci sono stati effetti collaterali. Lo ha annunciato con una certa soddisfazione Angelo Vescovi, docente all’Università Bicocca di Milano e direttore scientifico di Neurothon che intervistato da ilsussidiario.net ha spiegato i risultati, le fasi e gli obiettivi della sperimentazione. Si tratta certamente di un primo passo verso una possibile terapia futura per una malattia che ancora oggi è inguaribile. Una speranza per i malati, anche se è lo stesso Vescovi a voler in qualche modo smorzare l’entusiasmo per non alimentare aspettative:”Per onestà intellettuale e per non creare illusioni su eventuali effetti positivi neurologici, sottolineo che ad oggi sono troppo pochi i pazienti trapiantati e che bisogna procedere con cautela”.



Che tipologia di studio state portando avanti?

Dal 28 marzo 2011, data in cui abbiamo ottenuto l’autorizzazione a procedere con il trapianto in questi pazienti affetti da Sla stiamo procedendo con la sperimentazione. Abbiamo trapiantato cellule staminali celebrali umane, derivate da feti da aborto spontaneo, quindi da morte naturale in utero con una tecnica di prelievo assolutamente analoga a quella della donazione d’organo (che non comportano nessun problema etico di qualsivoglia natura) in prossimità dei motoneuroni che muoiono nella parte inferiore del midollo spinale.



Quali sono stati i primi riscontri?

Il primo gruppo di pazienti ci ha rivelato ciò che speravamo di vedere: il trapianto intramidollare di cellule staminali celebrali, che è una cosa molto particolare, difficile, in pazienti molto malati, quasi terminali, è innocuo. Non abbiamo constatato effetti collaterali. A differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti, dove stanno portando avanti una sperimentazione simile.

A questo punto, quale sarà il prossimo step?

Consegnata tutta la documentazione all’Istituto Superiore di Sanità e dell’agenzia del farmaco (Aifa), proprio in questi giorni abbiamo già ricevuto il permesso di realizzare il trapianto in altri sei pazienti (il secondo gruppo della fase uno) però questa volta in una zona del midollo molto più alta, appena sotto la nuca. Un’operazione molto più pericolosa, ma in una zona dove il trapianto è più foriero di migliori risultati perché è dove ci sono i centri di controllo della respirazione distrutti dalla malattia.



Qual è lo scopo della fase uno?

Lo scopo della fase uno è ovviamente per definizione la constatazione della sicurezza e dell’innocuità del trapianto, a margine si valutano gli eventuali effetti neurologici che, però, devono essere studiati in una successiva fase. Vediamo delle cose interessanti ma con soli sei pazienti non è assolutamente possibile concludere nulla in termini di efficacia terapeutica. Ci siamo limitati a concludere che questo tipo di approccio che poteva essere completamente invalidato già con il primo trapianto in realtà è un approccio sicuro, scevro da effetti collaterali. Questo ci dovrebbe portare a concludere la prima fase abbastanza rapidamente e procedere a una fase due, nella quale vengono arruolati in genere decine di pazienti e valutare anche gli effetti positivi sulla patologia.

È una vera e propria svolta… 

Sì, è un grande passo avanti, perché è una strada che non si sapeva nemmeno se fosse praticabile. Ci tengo a ribadire, però, che il compito della sperimentazione in fase uno è quello di dimostrare che la procedura è effettuabile in maniera sicura e mi creda in pazienti come questi non è una cosa da poco: è un po’ come dimostrare che fare il trapianto di cuore non uccide i pazienti, i primi cinque a Parma morirono…

 

Ora come andrà avanti la sperimentazione?

Lo studio di fase uno prevede tre gruppi: il primo gruppo è stato completato, ora dobbiamo iniziare con il secondo gruppo, dovevamo cominciare il 3 agosto poi il paziente che avevamo reclutato si è ammalato e quindi fare il primo paziente del secondo gruppo con trapianto cervicale, ancora più complesso, la prima o seconda settimana di settembre e da lì speriamo di riuscire ogni tre settimane a operare i sei pazienti del secondo gruppo. Poi riproporremo all’Aifa i nostri risultati (che speriamo essere positivi) e ottenuta l’autorizzazione per procedere con il terzo gruppo che chiuderà la fase uno che prevede il trapianto nella stessa zona ma su pazienti appena diagnosticati, potremmo trovarci di fronte a qualche effetto positivo. Ecco lì dovrebbe essere più facile vederlo.

 

Che tempi ci sono per la conclusione dei test?

Attualmente procediamo con un trapianto al mese non per un problema di carattere tecnico, ma economico, stiamo finendo le risorse e la sperimentazione potrebbe subire un rallentamento. Credo, comunque, che alla fine della primavera 2014 la prima fase si concluda e che potremmo, quindi valutare gli effetti neurologici. Tra un anno potremmo essere in grado di chiedere di poter iniziare una fase due. Sarebbe un bel risultato.

 

Neurothon ha cambiato nome in Revert, perché?

Perché intendiamo lanciare una massiccia campagna per allargare la sperimentazione a un numero significativo di pazienti e ad altre malattie. Stiamo già scrivendo il testo per la sperimentazione sulla Sclerosi multipla e sulle malattie genetiche pediatriche. È stato dimostrato che è possibile farlo nel totale rispetto delle regole normative e anche quelle di etiche e morali. Io penso che con una campagna di raccolta fondi articolata sulla prova di un fatto e non più di una teoria dovremmo essere in grado tra un anno di valutare gli effetti neurologici.

 

Quando questa terapia sperimentale diventerà una terapia consolidata? Quando potrà essere “curato” il paziente per rallentare la patologia?

Secondo me se ci saranno degli effetti significativi li potremmo vedere nel terzo gruppo, ovvero quello dei pazienti appena diagnosticati. La fase due, in genere, in queste situazioni, siccome si tratta di una malattia essenzialmente orfana, viene già utilizzata come fase terapeutica vera.

 

Cioè?

La fase due che andrà a validare la terapia su un largo numero di soggetti potrebbe divenire già pura. Ci potrebbe, dunque, già essere un passaggio tra test e cura, però dovremmo avere dei dati più certi. Ad esempio se dei pazienti arruolati dopo un anno nessuno ha avuto un peggioramento della malattia, la statistica salta e lei procede utilizzandola come cura.

 

Perché finora le terapie sono risultate inefficaci?

Non lo sappiamo. Penso che il problema sia legato al fatto che ancora i meccanismi che portano alla morte di questi motoneuroni sono solo parzialmente chiariti, nel senso che non conosciamo cosa ha innescato il processo. Non è così semplice andare a intervenire su questi meccanismi, ed è proprio per questo che brancoliamo un po’ nel buio.

 

In cosa si differenzia il vostro approccio?

Non si fa la somministrazioni di un farmaco, di una molecola che può andare a influenzare il fenomeno ma si mette nella zona in cui la morte del motoneurone sta avvenendo (per mille ragioni) un sistema che rileva lo stato patologico del tessuto e reagisce di conseguenza secernendo migliaia di molecole, intervenendo nella rimozione si sostanze tossiche. L’approccio che viene dalla terapia cellulare è molto più complesso e anche molto più promettente dei classici farmaci.

 

In altre parole?

Non conoscendo precisamente il meccanismo, ma solo in generale, si mette una cellula in grado di agire su tutti i meccanismi leggendoli e interpretandoli nel modo che le è consono. Questo è il ruolo delle staminali e delle cellule che generano. Il motivo per cui ad oggi tutte le terapie hanno fallito è anche perché la Sla è una malattia rara, è stata curata molto poco e i modelli animali che mimano la malattia sono disponibili solo da un decennio e quindi la possibilità di accesso allo studio dei meccanismi che porta a sviluppare i farmaci era veramente limitato.

 

(Elena Pescucci)