Ci voleva un articolo di una delle più importanti riviste scientifiche al mondo, la britannica Nature, per mostrare come fatti quali il goal di Muntari in un passato Milan-Juventus (avvenimento che chi scrive, tifoso viola, visse con distacco) possano innescare un dibattito sulla valenza della scienza al giorno d’oggi. L’avvenimento da cui parte l’articolo, pubblicato sul numero del 30 maggio scorso della rivista, è che dalla prossima Confederation Cup che si svolgerà a breve in Brasile sarà introdotta una tecnologia in grado di riconoscere se una palla ha varcato o no la linea di porta e quindi se siamo di fronte a un goal.
La stessa tecnologia sarà poi applicata anche in Premier League (il massimo campionato calcistico inglese) dalla prossima stagione. Per gli inglesi si tratta di un tema interessante: la loro squadra nazionale si è vista negare un goal nell’ultima edizione dei mondiali, ma fu probabilmente avvantaggiata nell’edizione 1966 della stessa manifestazione.
Il primo problema che Nature evidenza è che la risposta fornita dalla tecnologia è sempre presentata con la massima certezza, come la posizione “esatta” della palla. Molti lettori avranno presente la tecnologia utilizzata nel tennis, in cui si vede una ricostruzione virtuale della traiettoria della palla: tutto appare perfetto e irreprensibile. Il responsabile della Premier League è arrivato ad affermare che con queste moderne tecnologie potremo affermare “definitivamente” se una palla ha attraversato o no la linea di porta.
L’articolo di Nature segnala come questa affermazione possa solo far inorridire uno scienziato: sin dall’edizione 1726 dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica Isaac Newton evidenziava l’importanza dell’incertezza all’interno del metodo scientifico. Uno scienziato ha chiaro come ogni misura che compie contenga sempre inevitabilmente un errore. Ma bisogna spiegare bene il significato di questa parola: quando parliamo di errore in una misura scientifica, non parliamo di uno sbaglio dello sperimentatore che grossolanamente non segue la corretta procedura. L’errore è quell’incertezza nella misura che possiamo solo tentare di ridurre sempre di più, ma che non possiamo mai eliminare del tutto.
Senza far diventare questo articolo un trattato per l’esame di laboratorio di fisica, basti pensare al fatto che ad esempio uno strumento ha una certa sensibilità (l’orologio che sto guardando in questo momento al mio polso ha la lancetta dei secondi, non posso chiedergli di misurare i centesimi), ma una misura può anche essere influenzata da tanti fattori incontrollabili (posso avere un ottimo orologio al millesimo di secondo che misura il tempo di caduta di una pallina su un piano inclinato, ma questo tempo può essere influenzato dalla temperatura della stanza, dall’umidità e così via).
Ogni fisico sa che l’unica cosa che potrà fare sarà ridurre l’errore entro limiti che non pregiudicano l’esperimento (sarebbe irragionevole chiedere un orologio atomico per la cottura della pasta), ma non eliminare l’errore stesso. Ad esempio, guardando le specifiche richieste dalla FIFA (la federazione mondiale del calcio) si trova che la precisione richiesta alla tecnologia di rilevazione del goal è di 3 centimetri per una palla che si muove a 70 km/h. Sotto questi valori, non è possibile sapere se siamo o no di fronte a un goal.
Sarebbe bello se le partite di calcio diventassero un’occasione per evidenziare questo limite intrinseco nella nostra conoscenza della realtà; e non si pensi sia impossibile. In Inghilterra è molto seguito il gioco del cricket: quando chi scrive passò un mese a Oxford provò a capirne le regole ma trovò più facile dedicarsi alla Relatività Generale. Ebbene, nel cricket vi è una situazione in cui la macchina ammette la sua impossibilità a decidere. A cosa si ricorre in questa situazione in cui la macchina si arrende? Alla decisione dell’arbitro, cioè alla decisione di una persona, con buona pace di tutti coloro che cercano sempre di ricorrere a criteri “freddi”, in cui il giudizio umano non deve contare assolutamente. Criteri “freddi” che spesso portano a giudizi assurdi.
Ma l’articolo di Nature non si ferma qui e fa notare come ormai la nostra capacità di manipolare immagini digitali sia diventata molto grande. È facile immaginare che dopo un giudizio “dubbio” di una macchina durante una partita di calcio cominceranno a girare in rete foto rappresentanti la “vera” immagine della palla sulla linea di porta. I tifosi di una squadra troveranno così la “vera” immagine che mostra il goal, mentre quelli rivali la “vera” immagine del non goal.
Dall’accusare l’arbitro si passerà poi ad accusare il controllore della tecnologia. Per scoprire infine che il sogno della decisione definitiva rimane un’utopia irrealizzabile. Che questo possa accadere guardando una partita su un campo di calcio e non solo in un corso universitario di teoria degli errori, è sicuramente un’opportunità da sfruttare.