Non di rado nella scienza pur pensando di aver capito tutto su di un argomento ci si accorge che c’è qualcosa di nuovo, di imprevisto da imparare, studiare, capire, ammirare. Come è capitato al team della missione della Nasa Van Allen Probe che, dallo scorso agosto ha seguito in diretta la nascita e l’estinzione di una terza fascia di Van Allen, una nuova fascia di radiazione, transitoria, circa una mese di vita.
Le fasce di Van Allen sono configurazioni vagamente toroidali – anelli o cinture che circondano il nostro Pianeta – composte di particelle cariche intrappolate nel campo magnetico terrestre. Quest’ultimo consente alle particelle di rimanere confinate in orbite a grande distanza dalla superficie terrestre, con altezze comprese all’incirca tra 1.000 e 6.000 chilometri e tra 14.500 e 19.000 chilometri. La nuova scoperta della missione della Nasa Van Allen Probes, è stata quella di una terza fascia intermedia esistita per circa un mese nello scorso settembre prima di essere distrutta da un onda d’urto proveniente dal Sole.
In effetti la Van Allen Probes è stata proprio progettata per attraversare queste regioni ad altissima quota e misurare la distribuzione di densità delle particelle nella fascia, studiare l’evoluzione delle fasce nel tempo e nello spazio, la loro relazione con l’intensità dei campi elettromagnetici che intrappolano le particelle e le guidano; obiettivo era anche di misurare il grande flusso di elettroni e protoni attraversati, fino a 10 miliardi di particelle per centimetro quadro al secondo: così grande da rappresentare un serio pericolo per pannelli solari e sensori di veicoli spaziali che attraversano la regione. Tutto con il nuovo sensibilissimo telescopio REPT (Relativistic Electron Proton Telescope), capace, come spiega uno dei responsabili Daniel Backer «di guardare assieme spazio, tempo ed energia».
L’importanza della missione è presto detta. Tutto rientra nel progetto della Nasa, Living With a Star Program’s (LWS) composto, oltre dalla Van Allen Probe e dalla missione Solar Dynamics Observatory (SDO), il cui compito è quello di studiare il campo magnetico solare, la sua genesi e la sua struttura e la sua relazione con quei fenomeni tutt’altro che ininfluenti per la nostra vita sulla Terra quali il citato vento solare, responsabile per l’appunto delle fasce di van Allen.
Qualche giorno fa l’origine della fascia è stata spiegata in un modello di interazione di elettroni relativistici con il campo magnetico terrestre dal gruppo del professor Richard Thorne, della Univeristy of California, Los Angeles. La teoria della relatività ristretta è qui necessaria perché essa si applica quando l’energia delle particelle in questione diventa paragonabile con la loro massa a riposo: nel nostro caso i numeri in questione sono la massa dell’elettrone 0.5 MeV e una stima per la sua energia 1 MeV (MeV, Megaelettronvolt).
Insomma, anche dalle regioni più inospitali come le fase di Van Allen, addirittura pericolose per i satelliti che le attraversano, ci si può aspettare qualcosa di nuovo. Con le parole di Nicky Fox, Van Allen Probes deputy project scientist della Johns Hopkins University: «Anche 55 anni dopo la loro scoperta, le fasce di Van Allen sono ancora capaci di stupirci e ancora nascondono misteri da rivelare ed esplorare».