È di tre settimane fa la notizia che la Nano-Meta Technologies, recente startup nata dai laboratori della Purdue University (West-Lafayette, Indiana), ha ricevuto un primo finanziamento di un milione di dollari che verranno utilizzati in un progetto di commercializzazione di tecnologie basate su materiali plasmonici. Il finanziamento è stato erogato dalla Quantum Wave Fund, una venture capital specializzata nel finanziare progetti di nuove aziende private che vogliono applicare la cosiddetta quantum technology alla risoluzione di problemi quotidiani. La Nano-Meta Technologies vede tra i suoi principali co-fondatori Vladimir Shalaev e Alexandra Boltasseva, tuttora professori alla Purdue University e internazionalmente riconosciuti nel campo dell’ottica e dei metamateriali plasmonici.



Per capire di cosa stiamo parlando è necessario richiamare il concetto di plasmoni: un plasmone è un’oscillazione collettiva di elettroni liberi (o quasi) in un metallo. Il plasmone possiede un’energia, un momento e una direzione di propagazione e, come accade per molti altri fenomeni ondulatori, può essere descritto come particella nella cornice della meccanica quantistica. I plasmoni possono interagire con le onde elettromagnetiche (luce) che incidono sulla superficie del metallo: la luce incidente può generare plasmoni e a loro volta fenomeni di tipo plasmonico possono generare luce, emettendo fotoni. Accade che solitamente la luce emessa abbia frequenza molto maggiore della luce incidente, ovvero lunghezza d’onda minore, e risulti confinata in una ben precisa direzione.



La capacità di assorbire e generare luce tramite l’interazione plasmonica dipende non solo dal materiale utilizzato, ma anche dalla sua struttura microscopica (su scale inferiori a quelle della lunghezza d’onda incidente). Con le moderne tecniche di nano-fabbricazione è possibile progettare e realizzare sistemi composti da nano-elementi posizionandoli con precisione estrema, per esempio matrici regolari di nanofili, o complessi schemi di nano-fori ecc.

Questo ha reso possibile uno studio approfondito sulle proprietà plasmoniche di questi sistemi dalle proprietà ottiche esotiche e “disegnate a tavolino”, detti “metamateriali”, sulle quali è già da qualche anno che gli scienziati si cimentano immaginandone nuove funzioni e applicazioni.



Il campo delle possibili applicazioni è davvero vasto, poichè la capacità di concentrare l’energia proveniente dalla luce su scale ben più piccole di quanto concesso da strumenti ottici convenzionali (lenti) è alla base di grandi progressi nell’ambito fotovoltaico, della catalisi, dei supporti dati e di alcuni ambiti terapeutici come la terapia del cancro. 

A quanto sembra, è arrivato il momento per queste nuove tecnologie di fare ingresso nella vita reale. La Nano-Meta Technologies punterà inizialmente su due obiettivi. Il primo è la realizzazione di un sistema per la lettura dei dati immagazzinati su supporto rigido: l’utilizzo di metamateriali plasmonici permetterà di generare un fascio di luce molto più confinato di quelli attualmente utilizzati, che permetterà quindi di ridurre la dimensione dei bit. Attualmente i lettori ottici sono limitati dal fatto che un fascio luminoso non può essere focheggiato a una dimensione inferiore alla metà (circa) della sua lunghezza d’onda.

Per esempio, la tecnologia Blu-ray Disc utilizza un laser blu-violetto con lunghezza d’onda 405 nm, il che permette di avere bit con dimensioni 150 x 320 nm. La nuova tecnologia basata sugli effetti plasmonici permette di generare fasci di luce molto più sottili, e quindi di ridurre la dimensione dei bit sul supporto, aumentandone la capacità.

Il secondo obiettivo di breve periodo è quello di commercializzare un sistema basato su nanoparticelle per il trattamento di certi tipo di cancro. In questo caso viene sfruttato l’effetto di concentrazione plasmonica della luce che avviene quando essa incide su oggetti metallici di dimensioni nanometriche, che permettono al campo elettromagnetico di raggiungere localmente intensità molto elevate. Questa proprietà dipende non solo dal materiale che costituisce la nanoparticella, ma anche dalla sua forma e dimensione.

Tali nanoparticelle, opportunamente funzionalizzate, vengono iniettate nel paziente e si accumulano presso il tumore. Una volta illuminate da una luce incidente all’opportuna lunghezza d’onda, esse concentrano l’energia luminosa presso la superficie e, cedendola al tessuto circostante sotto forma di calore, uccidono le cellule tumorali circostanti. Primi passi in questa direzione nella terapia del cancro sono già stati avviati con nanoparticelle ricoperte d’oro presso la Nanospectra Biosciences di Houston (Texas).

Nonostante lo studio dei metamateriali plasmonici sia tuttora recente anche a livello accademico, la Nano-Meta Technologies e la Quantum Wave Fund hanno ritenuto che i tempi siano già maturi per la commercializzazione di alcune tecnologie ed hanno deciso di rischiare. Siete stupiti? Quando avete tempo, date un’occhiata al sito della Purdue University, in particolare alla sezione “Innovation and Commercialization Center”, e vi renderete conto di quanto una tipica università negli States investa nella commercializzazione e nell’impatto della propria ricerca nella società civile, valorizzando le idee dei ricercatori e anche degli studenti.

Un approccio che, oltre a generare introiti che aiutano il budget dell’istituzione e a sostenere la nascita di giovani realtà economiche, innanzitutto aumenta la soddisfazione personale degli studenti e dei ricercatori che vogliono provare ad applicare le loro idee alla realtà quotidiana. Questo approccio purtroppo è ancora sconosciuto in molte università europee (con alcune notevoli eccezioni), che da questo punto di vista potrebbero imparare molto.