Le sorprese, più o meno grandi, sono un po’ il sale della scienza. Poche discipline però colpiscono l’immaginazione anche di chi non fa un lavoro di ricerca come l’astrofisica: precisandosi sempre più, l’immagine del mondo offerta dallo studio delle profondità cosmiche viene infatti spesso modificata e riproposta in termini inaspettati.



Nel passaggio dai modelli tolomaici a quelli di Copernico, Galileo e Keplero e poi fino ai giorni nostri, il mondo ha cambiato volto molte volte. E si è dilatato in modo colossale: abbiamo frantumato il muro dei confini del nostro sistema solare, dirigendo il nostro sguardo verso i punti più lontani, alla ricerca di una descrizione soddisfacente della storia del cosmo nel suo complesso. Così le osservazioni di nebulose, del nucleo della Via Lattea, di Andromeda, degli ammassi di galassie, delle galassie più vecchie, della Radiazione Cosmica di Fondo hanno segnato di volta in volta il limite delle nostre capacità osservative, consentendoci di allontanarci enormemente dai confini del nostro Sistema Solare.



Eppure anche i nostri immediati dintorni cosmici sono un mondo tutto da scoprire, come la missione Voyager non smette di testimoniarci dopo oltre trent’anni di attività. Proprio per indagare l’eliosfera, la regione dello spazio caratterizzata dalla presenza del Sole e dal suo campo magnetico, la Nasa ha realizzato diverse missioni. Una delle più recenti, la missione IBEX (Interstellar Boundary Explorer), un piccolo satellite lanciato nel 2008, ha come scopo lo studio dei confini della zona di influenza solare, là dove il vento solare si scontra con il mezzo interstellare. L’analisi di questa zona di confine può dirci qualcosa di più sulla fisica del Sole. Per fare ciò IBEX rileva fasci di particelle neutre. Queste particelle sono state generate nel Sole e hanno viaggiato fino ai confini dell’eliosfera: qui, interagendo con il mezzo interstellare, hanno ceduto la loro carica, rimbalzando indietro.



Come si fa a essere sicuri di questo tragitto, piuttosto tortuoso? Il motivo è proprio la mancanza di carica: generalmente le particelle che arrivano dallo spazio profondo sono cariche, caratteristica che le farebbe interagire con il campo magnetico solare all’interno dell’eliosfera.  Queste particelle, invece, sono neutre -segno che hanno perso la loro carica in qualche interazione- e possono non risentire del campo magnetico, viaggiando in linea retta dal punto in cui hanno interagito con il mezzo interstellare fino ai sensori di IBEX. Il conteggio di queste particelle dà perciò un’idea di quello che accade in quelle regioni lontane, come fossero raggi di luce che viaggiano in linea retta da una sorgente fino a noi.

Questa tecnica particolare è stata messa a punto proprio dal gruppo che guida la missione IBEX e ha dato grosse soddisfazioni al gruppo di ricerca: «fin dall’inizio nel 2008, la missione IBEX ci ha esaltati con le sue scoperte sul limite con il mezzo interstellare, inclusa la sconosciuta striscia di particelle neutre che si allunga attraversandolo e arrivando fino a noi», conferma Arik Posner, scienziato del team.

La sorpresa è emersa piano piano ricostruendo l’immagine complessiva dei confini dell’eliosfera: si è infatti potuto scoprire come il vento solare generi una lunga coda che si disperde nel mezzo interstellare, come accade a un meteorite che entri in un’atmosfera planetaria. È proprio così: il nostro sistema solare apparirebbe a un ipotetico abitante di qualche stella lontana come una specie di cometa, con la sua coda che si estende nel mezzo interstellare, per effetto del movimento del sistema stesso intorno al nucleo galattico.

Le sorprese non finiscono: questa scia, infatti, non è identica in tutte le direzioni, ma è più densa ai poli nord e sud dell’eliosfera e lungo il piano equatoriale. Questo perché il vento solare si addensa in queste regioni dello spazio per effetti dovuti alla rotazione del Sole su di sé. La scia ha dunque una forma a quadrifoglio. Questa forma non è perfettamente allineata al sistema solare ma è leggermente ruotata, indicando come le particelle cariche, quando si allontanano dal Sole e dalla sua influenza magnetica, inizino a essere delicatamente orientate in una nuova direzione, allineandosi con i campi magnetici della galassia.

Quanto è lunga la coda del sistema solare-cometa? Gli scienziati non lo sanno. Sanno solo che questa scia si perde nel mezzo interstellare, diventando indistinguibile da esso.

Fa impressione pensare a come nel volgere -breve o lungo, a seconda dei punti di vista- di circa cinquecento anni l’uomo abbia letteralmente smontato l’immagine che lo guidava nel pensare al cielo e al cosmo. Dalla Terra al centro di un sistema eterno e immutabile a un sistema solare-cometa il passo è oggettivamente lungo, ma entusiasmante. È un cammino dello sguardo ciò che rende appassionante la scienza, come perfettamente diceva Teilhard de Chardin: “la storia della scienza naturale può essere riassunta come l’elaborazione di occhi sempre più perfetti entro un cosmo nel quale c’è sempre qualcosa di più da vedere”.