A cento anni di distanza, l’atomo di idrogeno torna protagonista della fisica. Era il 1913 quando il giovane Niels Bohr, applicando l’idea di “quanto” di Max Planck al modello atomico appena proposto da Ernst Rutherford, proponeva il primo modello atomico quantizzato a partire proprio dall’atomo di idrogeno, il primo elemento della tavola periodica. Era iniziato il cammino della meccanica quantistica, che governa il mondo su scala submicroscopica; il suo sviluppo nei primi decenni del XX secolo ha cambiato il modo in cui gli scienziati cercano di comprendere la realtà naturale.
Al centro di questa teoria c’è il concetto di funzione d’onda, che descrive la probabilità di osservare il risultato di misure su un sistema quantistico, quali la sua energia, posizione o quantità di moto. Tra le altre cose, dalle funzioni d’onda i fisici possono dedurre la struttura orbitale dell’atomo – cioè lo spazio in un atomo che è più probabilmente occupato da elettroni – ma solo impiegando calcoli molto impegnativi.
Fino ad oggi, l’osservazione diretta di queste strutture orbitali era preclusa poiché qualsiasi misura di un sistema quantistico fa collassare la funzione d’onda, il che significa che solo uno dei suoi possibili stati può essere misurato. Questo fatto, secondo la cosiddetta interpretazione di Copenhagen, consente di riconciliare il verificarsi di fenomeni non classici a scala nanoscopica con le osservazioni fatte a livello macroscopico; viene quindi, in qualche misura, stabilita una corrispondenza tra i fenomeni quantistici e la normale visione macroscopica della natura.
Tutto ciò però non aiuta gli scienziati ad ottenere un’immagine degli elettroni che danzano intorno al nucleo atomico. Per acquisire uno stato quantico completo, c’è bisogno di uno strumento che possa statisticamente fornire la media di molte misure eseguite nel tempo. Ora un team internazionale di fisici, guidato da Aneta Stodolna presso l’Istituto Amolf (Fisica Atomica e Molecolare) di Amsterdam, ha superato questo ostacolo costruendo un microscopio “quantistico” che ingrandisce fortemente la struttura orbitale dell’atomo di idrogeno in modo che possa essere visualizzato con un rivelatore bidimensionale. I risultati sono stati pubblicati su uno dei recenti numeri della prestigiosa Physical Review Letters, nell’articolo “Hydrogen Atoms under Magnification: Direct Observation of the Nodal Structure of Stark States”.
Le osservazioni sono state effettuate utilizzando un concetto proposto più di trent’anni fa: la microscopia di fotoionizzazione. Sulla base di questa è stato ideato un esperimento dove un fascio di atomi di idrogeno viene posto in un campo elettrico ed eccitato da impulsi laser. Gli elettroni possono sfuggire dagli atomi lungo traiettorie dirette e indirette rispetto al rivelatore. La differenza di fase tra queste traiettorie porta a una figura di interferenza che viene amplificata da una lente elettrostatica di dimensioni millimetriche dove può essere osservate su un rivelatore. In tal modo il team ha osservato diverse centinaia di migliaia di eventi di ionizzazione.
La figura di interferenza trovata si accorda abbastanza bene con le caratteristiche nodali della funzione d’onda dell’idrogeno che può essere calcolata analiticamente. Questa dimostrazione stabilisce la tecnica di microscopia è uno strumento fondamentale che aiuterà gli scienziati a comprendere meglio i misteri del regno quantico.
Lo stesso gruppo di fisici sta già lavorando per testare come l’atomo di idrogeno reagisca alla presenza di un campo magnetico. Si ripromettono anche di estendere gli esperimenti di questo tipo agli atomi con più elettroni, a partire dall’elio.