Quando consultiamo le previsioni del tempo, solitamente troviamo indicazioni sul lungo periodo oltre la settimana e altre, più attendibili, dette a breve termine, che coprono 3-4 giorni. Per alcuni climatologi, però, le previsioni a breve termine possono coprire anche qualche anno e un recente articolo su Nature, di Jeff Tollefson, ha indicato il 2020 come scadenza per scenari a corto raggio. In ogni caso, c’è da registrare un intensificarsi di studi che mirano a sviluppare modelli in grado di prefigurare l’evoluzione delle condizioni climatiche su un arco temporale inferiore al decennio. La questione è controversa e non sono pochi coloro che ritengono un inutile spreco di tempo e di risorse l’impegno in questa direzione; la climatologia ci ha abituato, almeno da quando si è iniziato a parlare di global warming, all’elaborazione di modelli che coprono diversi decenni e basta seguire i dibattiti in occasione dei vari Rapporti dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) per rendersi conto di come la scienza del clima stia ancora muovendo i primi passi.



In effetti, è una scienza che dovrebbe essere tra le più direttamente interessanti anche per il cosiddetto grande pubblico, ma che per questo tipo di pubblico è di difficile lettura: trattandosi di un fenomeno ad alta complessità come il clima, ogni risultato è legato a una varietà di parametri e di condizioni al contorno e una loro non attenta considerazione rende ambigua e fuorviante ogni lettura sbrigativa e semplificata. Ma le cose non migliorano riducendo l’intervallo temporale della previsione. Lo si è visto con uno dei primi tentativi di modelli “a breve termine”, elaborato da Doug Smith nel 2007 presso il celebre Met Officer’s Hadley Centre inglese, che dopo sei anni si sta rivelando ampiamente inadatto a descrivere l’andamento delle condizioni climatiche con tutte le loro bizzarrie.



Eppure inizialmente l’idea sembrava promettente. Invece di partire dalle condizioni del passato, come fanno gli sviluppatori di modelli a lungo termine, Smith partiva dal presente, sull’esempio dei meteorologi che danno le previsioni settimanali: il suo “oggi” era un periodo di tre settimane nelle quali raccoglieva i dati della temperatura dell’aria, della velocità dei venti, della pressione atmosferica e della temperatura e salinità degli Oceani; questi erano le condizioni iniziali per avviare le simulazioni computerizzate, integrate con l’immissione di altri parametri supplementari. Il modello non ha funzionato e l’enorme surriscaldamento previsto per gli anni dopo il 2008 non si è ancora manifestato. Colpa probabilmente della difficoltà nello stimare con sufficiente precisione l’impatto degli oceani, con la loro complessa dinamica e il loro ruolo nell’assorbimento e nel rilascio di ingenti quantità di calore.



Certo, basandosi sui dati di “oggi”, nei primi anni i modelli così costruiti hanno buone probabilità di successo; così come è più facile che sia azzeccata la previsione meteo di domani rispetto a quella di domenica prossima. Ma evidentemente non basta. Per questo, i gruppi come quello di Smith sono all’opera per migliorare progressivamente i modelli. Intanto hanno sfornato una previsione decennale per il periodo 2011-2020 che vede un peggioramento nei prossimi tre anni, con riduzione delle temperature, seguito da un’impennata nel 2018, per un “caldo” finale di decade.

C’è da aggiungere un’osservazione, a parziale consolazione per l’incertezza dei risultati e come possibile replica agli oppositori di simili studi. Il breve termine messo sotto analisi, così come consente una più rapida verifica – ed eventualmente il verdetto di insuccesso-, allo stesso tempo offre la possibilità di una pronta individuazione degli errori e dei punti deboli del modello. Gli scienziati quindi, superato lo scoraggiamento per non essere riusciti ad azzeccare la previsione, possono rimettersi al lavoro e pazientemente rielaborare i loro schemi e le loro simulazioni, integrando, correggendo, cancellando, inserendo fattori imprevisti.

Tutto ciò può tradursi in un vantaggio non solo per la loro attività, ma per tutta la comunità scientifica, anche per coloro che stanno elaborando i modelli per dirci con che clima vivranno i nostri pronipoti.

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