Non stiamo parlando del dottor Frankestein e dei suoi mitologici esperimenti per riportare in vita i morti. Certo è che il dottor Sam Parnia, della Stony Brook University School of Medicine di New York, un po’ ci gioca con quel romanzo. O almeno lo hanno fatto gli editori del suo nuovissimo libro che si intitola “Erasing death”, cancellare la morte, tenendo conto poi che si tratta di un esperto della cosiddetta “resuscitation science”, la scienza della resurrezione.



Di nuovo, non stiamo parlando degli esperimenti del dottor Frankestein, ma di qualcosa che, scientificamente e medicamente, può ridurre il numero delle morti con una maggior attenzione ai malati. Si tratta di quella scienza che presta attenzione e studi accurati sulle cosiddette “morti cliniche”, quei casi, e non sono certo poche, in cui il cuore di un paziente si ferma e viene dichiarato appunto clinicamente morto. A volte succede che si tratti di una morte temporanea, di pochi secondi, anche se in tali casi si registrano danni cerebrali spesso definitivi. Per il dottor Parnia si tratta di aumentare le conoscenze mediche relative ai trattamenti cardiaci.



Parnia nel suo libro si spinge a terrorizzare che sia possibile riportare in vita pazienti morti anche da diverse ore: vere e proprie resurrezioni verrebbe da dire. Parnia sostiene che già oggi grazie ai progressi della medicina è possibile riportare in vita persone morte anche da due ore. Grazie a speciali medicinali da iniettare nel corpo del paziente, spiega, si potranno bloccare i processi di deterioramento del cervello e degli altri organi. Tra vent’anni, dice ancora, sarà forse possibile riportare in vita persone dichiarate morte da dodici, anche ventiquattro ore. Potete chiamarla resurrezione, scherza, ma io la definisco scienza della resuscitazione. Davanti alle cifre che parlano di scarsi risultati in questo campo, con un livello di successo molto basso, Parnia ammette che è vero ma dice essere colpa dei medici stessi. In molto ospedali il livello di resurrezioni ottenute dopo un arresto cardiaco è pari allo zero, in alcuni casi si arriva al 18%, cifre simili al Regno Unito e alla Germania. Sostiene orgogliosamente che nel centro medico dove lavora lui quando era arrivato il livello dei salvataggi era pari al 21%, oggi si è invece al 33%.



Questo perché, spiega, anche se il tempo che usualmente si impiega per mantenere in vita un paziente sia di 40 minuti, quasi tutti i dottori si fermano dopo venti minuti di tentativi. Il motivo? Si crede che dopo quel lasso di tempo il cervello venga irrimediabilmente danneggiato. La scienza medica ha infatti sempre detto che dopo tre o cinque minuti da quando il cuore si ferma, la mancanza di ossigeno provoca danni irreparabili al cervello: per il dottor Parnia non è così. Sono ricerche che si fermano agli anni 60, dice: oggi, sempre che venga fatto un trattamento di tipo corretto, il cervello può mantenersi funzionante per ore. Insomma, si tratta di creare una nuova categoria di medici e approfondire scientificamente le possibilità e forse davvero si potranno salvare persone clinicamente morte anche da giorni. Cancellare la morte? Per il dottor Parnia si tratta semplicemente di cambiare il modo di concepire la morte come oggi la intendiamo. 

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