Si è da poco concluso al campus universitario di Arcavacata, all’Università della Calabria, il Convegno dedicato alle “Giornate della Geografia 2013”, tradizionale appuntamento scientifico dei geografi italiani e non solo, con lo scopo di mantenere vivo il dialogo sul significato di tale disciplina e per condividere esperienze di ricerca e di didattica negli Atenei italiani.



Al di là della buona riuscita dell’appuntamento tra geografi, delle interessanti presentazioni realizzate in Aula Magna, dell’accoglienza molto apprezzata dagli ospiti, è emerso con toni preoccupati il rischio di una progressiva scomparsa della disciplina dagli insegnamenti delle scuole secondarie e, quindi, di conseguenza anche dalle Università stesse.



In un momento in cui tutti i sistemi di riferimento della vita sociale, politica, culturale ed economica mostrano la debolezza dei propri contenuti strutturali, la Geografia sembra essere diventata la Cenerentola di tutte le discipline, la più povera e quindi la più disprezzata, in quanto ritenuta inutile per la formazione delle nuove generazioni.

Ai tempi della riforma Gelmini ci siamo battuti con grande energia, assieme all’amico De Vecchis (Presidente dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia), per tentare di bloccare quelle che ci apparivano come delle scelte irrazionali, prive di logiche, assurde in quanto scelte politiche, ma non è bastato. Il Ministro pro tempore si mostrò sordo ai nostri ripetuti richiami e usò il bisturi senza anestetizzanti. Forse avremmo dovuto chiederci in modo più approfondito il perché di questa scelta ed avere contezza di come la didattica veniva e viene tuttora insegnata nelle scuole e in Università, con quale dedizione, con quale entusiasmo, con quale desiderio di comunicazione reale ai volti delle persone che abbiamo di fronte.



Quante volte, anche noi geografi, ci siamo posti la fatidica domanda “a che cosa serve la Geografia?” e abbiamo offerto continuamente delle risposte più o meno elaborate ma fondamentalmente rivolte a noi stessi e non al mondo istituzionale e politico che, invece, riceve segnali da parte degli studenti e dai loro docenti piuttosto negativi, assumendo come parametro di riferimento il rifiuto di conoscere a memoria nomi di fiumi, mari, laghi e monti, senza riuscire a comprendere la loro natura e le loro peculiarità.

Eppure, da oltre un secolo la Geografia non è più la litania delle lunghezze, delle altezze o dei toponimi: un po’ alla volta è diventata l’autocoscienza della terra, cioè quel luogo del sapere scientifico, forse l’unico, dove natura, fenomeni e relazioni reciproche rappresentano il metodo attraverso il quale la conoscenza del Pianeta assume significato e orizzonte interpretativo. Insomma, se da un lato occorre combattere in sede istituzionale e politica, gomito a gomito con gli storici, i letterati, gli umanisti, i fisici e i matematici per sostenere delle posizioni strutturate nella scuola, per altri versi occorre ribadire al mondo della conoscenza che il ruolo della Geografia è diversamente articolato rispetto a quello delle materie tradizionali.

Se l’informatica, la lingua inglese e la statistica, ad esempio, possono essere concepite come campi di conoscenza infrastrutturali o di servizio per la comunicazione e per l’informazione, parimenti bisogna riuscire a divulgare a studenti, politici e amministratori che la Geografia è il luogo di sintesi delle molteplici relazioni che si sviluppano su un determinato territorio, relazioni che nessun’altra materia è in grado di promuovere o realizzare e che producono un nuovo e più efficiente livello di conoscenza della realtà ambientale. Un fiume non è soltanto lungo, largo e con una certa portata d’acqua, ma appartiene ad un bacino idrografico, a una morfologia del territorio sulla quale scorre, dove gli esseri umani, gli animali e le piante usufruiscono di tale risorsa in misura differente e con criteri d’uso determinati anche dalle legislazioni vigenti.

Quale altra disciplina può affermare un simile livello di consapevolezza della realtà? La maggior parte delle discipline scientifiche rivolte alla conoscenza del Pianeta indaga, secondo differenti approcci metodologici, la “materia” di cui è composto: dalla roccia madre ai vulcani, dalla tessitura dei terreni al volume o alla velocità di caduta al suolo di una goccia d’acqua, dall’intensità dell’irraggiamento solare agli uragani ed ai tifoni.

Ogni elemento sembra essere particolare, specifico, dotato di proprietà che l’osservazione scientifica, supportata dalla tecnologia, tende progressivamente a spiegare, a decifrare, a interpretare in modo oggettivo, a identificare secondo parametri incontrovertibili. La difficoltà principale dell’identificazione analitica, tuttavia, consiste nella delimitazione o nella “contornazione” del particolare, sia come elemento fisico in sé, sia in quanto portatore di un significato proprio o di una valenza funzionale.

Si pensi, ad esempio, alla determinazione delle proprietà di un paesaggio o di una città o di una dorsale montuosa o di un corso d’acqua, a quanti e a quali criteri debbono essere considerati per compiere un’operazione che abbia come finalità quella di identificare un soggetto o un elemento, separandolo o estraendolo, quasi inevitabilmente, dal contesto di appartenenza.

Ne consegue che il livello di conoscenza acquisito dall’essere umano, da un lato lo rende più consapevole della struttura della materia e della sua evoluzione fenomenologica, ma, per altri versi, conduce inevitabilmente alla perdita dell’orizzonte funzionale, ancora molto indistinto per la maggior parte degli esseri umani, scienziati e non, in quanto risulta più semplice comprendere ciò che è immediatamente prossimo, piuttosto che ambire a un livello di conoscenza più misterioso, più complesso, talvolta non immediatamente percorribile sul piano logico e razionale.

Specializzarsi, nella concezione comune di chi frequenta Università ed Enti di ricerca, è preferibile o immediatamente più semplice e concreto che contemplare l’infinito o il mistero o la complessità fenomenica degli eventi della Terra. Tuttavia, la perdita di attrazione per l’infinito genera, in parallelo e secondo una dinamica di irreversibilità, una forma di cecità intellettuale progressiva, ovviamente non per l’oggetto specifico che si intende conoscere, ma nei confronti del suo significato nel corollario delle relazioni in cui è inserito.

Dalle considerazioni sopra accennate ci si domanda se sia concepibile e con quali garanzie di successo estendere, sul piano dell’esperienza scientifica, l’accesso a forme di conoscenza derivate dall’applicazione di una metodologia in grado di correlare elementi differenti, piuttosto che discriminare sulle singole componenti della realtà visibile del nostro Pianeta.

Questo processo di conoscenza della complessità e della interdipendenza degli elementi costitutivi della crosta terrestre deve poter essere comunicata in modo semplice e chiaro al grande pubblico che deve poter comprendere che non è sufficiente conoscere a grandi linee il vocabolario della natura, perché queste informazioni si esauriscono nella terminologia stessa.

Occorre, invece, inseguire una “grammatica della natura” come scrive Benedetto XVI nel suo Messaggio per la pace del 31/12/2009, che insegna bellezza e armonia e che conduce all’origine stessa del creato. E come dimenticare il discorso di inizio pontificato di Papa Francesco, nel quale ha rivolto un forte monito a «custodire l’intero creato, la bellezza del creato, avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo».

Credo che sia necessario uscire dalla logica che tende a considerare il processo di conoscenza adatto solo per formare una classe colta, e provare, invece, a sviluppare attività di formazione per tutti, dove sia possibile educare in modo corretto al rapporto con la natura, con l’obiettivo di migliorare la qualità della nostra vita e di tutti i viventi.

Se assimilassimo la complessità della terra ad una teorica sommatoria di sistemi apparentemente caotici, si potrebbe affermare che la nostra sensibilità alle condizioni ambientali, l’imprevedibilità degli eventi e l’evoluzione stessa del sistema Terra, risultando una porzione infinitesimale del sistema della nostra Galassia, per non dire dell’intero Universo, dovrebbero suscitare maggiore attenzione, interesse e curiosità da parte di tutti gli esseri umani, purché addestrati a riconoscere le relazioni esistenti nel microsistema di appartenenza

Ecco il motivo per cui la Geografia ha la pretesa di essere un punto di osservazione della realtà prossimo al sapere inteso come sistema complesso e armonioso.