Tutte le catene alimentari del nostro pianeta si appoggiano sulla produzione primaria, la continua trasformazione dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera in glucosio, che solo le piante verdi sanno attuare attraverso il complesso apparato biochimico della fotosintesi clorofilliana. Il bilancio della formazione di carbonio organico a livello planetario ci mostra che la produzione operata sulle terre emerse è sostanzialmente equivalente a quella che avviene negli oceani.



A tutti è noto quali siano gli organismi produttori presenti sulla terra: gli alberi delle grandi foreste delle regioni tropicali, dei boschi di latifoglie dei climi temperati, della taiga delle latitudini settentrionali e le erbe delle praterie e delle savane. Ma dove sono i produttori dell’ambiente marino? Certo, nelle acque poco profonde prosperano sui fondali ben illuminate tappeti multicolori di macroalghe o di erbe marine ma gli oceani sono sterminati e la loro profondità media è di circa 4000 metri. La percentuale dei fondali raggiunti da una quantità di radiazione solare sufficiente all’insediamento delle grandi alghe frondose è come il bordo di un catino ed è assolutamente trascurabile ai fini del bilancio totale.



Eppure le sterminate e apparentemente desertiche distese oceaniche sono i veri pascoli del mare. Infatti in ogni litro d’acqua, dalla superficie a circa 100 metri di profondità, sono presenti un numero sterminato di organismi unicellulari, dotati di clorofilla, responsabili per la stragrande maggioranza della produzione primaria oceanica. Da essi dipendono tutte le catene trofiche oceaniche comprendenti i banchi di pesce azzurro fino ai grandi predatori apicali come squali e delfini. La biodiversità di questa schiera di microscopici organismi fotosintetici deve essere ancora in gran parte decifrata.



I gruppi principali sono le diatomee, caratterizzate da una parete silicea che forma frustuli dalla straordinaria architettura tridimensionale, i coccolitoforidi, protetti da placche carbonatiche sculturate e i dinoflagellati, irrigiditi nella loro teca di cellulosa e talvolta produttori di sostanze tossiche il cui effetto sull’uomo è entrato recentemente nelle cronache grazie alle intossicazioni dovute alla celebre Ostreopsis ovata.

Recenti studi, ben riassunti nell’articolo di Ronald Martin e Antonietta Quigg apparso su Le Scienze di agosto, mettono in evidenza come i gruppi del moderno fitoplancton, caratterizzati dalla presenza di clorofille a e c (plancton rosso), si siano rapidamente evoluti durante il passaggio tra il permiano e il triassico (circa 250 milioni di anni fa), soppiantando gli antichi organismi fitoplanctonici caratterizzati da clorofilla a e b (plancton verde). La transizione permiano-triassica è stata un momento particolarmente drammatico per la storia del nostro pianeta con una fatale estinzione di massa che ha eliminato più del 90% delle specie marine. Possenti gruppi di invertebrati che avevano dominato le acque nei periodi precedenti non sopravvissero a questa ecatombe e si estinsero totalmente.

Da questa catastrofe i popolamenti degli oceani risorsero grazie ad una successiva spettacolare evoluzione di nuovi gruppi in qualche modo legati alle catene trofiche aventi come base il fitoplancton rosso più diversificato, abbondante e nutriente dell’antico plancton verde. Gli eventi che portarono all’affermazione di queste nuove linee cellulari sono complessi e riguardano in parte la circolazione oceanica ma hanno anche origine sulle terre emerse dove la formazione delle foreste, con relativa erosione del suolo da parte delle radici che portava al mare, tramite dilavamento, un quantitativo inusitato di micro e macro nutrienti.

Da questo antico spettacolare mutamento dei popolamenti marini possiamo trarre insegnamenti per capire qualcosa sul futuro degli oceani? Gli autori pensano che l’aumento di CO2 atmosferica e i conseguenti fenomeni di acidificazione delle acque e di riscaldamento del pianeta potrebbero rendere gli oceani del prossimo futuro simili a quelli del Mesozoico. A me sembra che la lezione della storia della vita sulla Terra dimostri che gli organismi riescono sempre ad adattarsi all’ambiente seguendo percorsi sempre nuovi e imprevedibili. Noi non possiamo far altro che stare, con curiosità, a vedere quello che succede. Il film della storia non si può riavvolgere.