La buona (!?) notizia ce l’ha passata il prof. Edoardo Boncinelli, via Corriere della Sera: scienziati dell’Università di Lancaster in Gran Bretagna hanno messo a punto un braccialetto da polso, che, opportunamente indossato, consente di prevedere la propria morte. Detto in modo meno semplicistico, il braccialetto emette un laser, che stimola la reattività delle cellule endoteliali, ma soprattutto di quelle epiteliali. Se il turbamento indotto dal laser dura poco, ciò significa che le cellule sono giovani; se dura molto, vuol dire che stanno invecchiando. Ulteriormente perfezionato, potrà essere ancora più preciso circa il nostro tempo di vivere e il nostro tempo di morire.



Prima si usava il metodo – lo spiega Boncinelli – della misurazione della lunghezza dei telomeri, le code dei cromosomi. Ma ha un difetto. Se le code sono corte, le previsioni sono infauste; se sono lunghe, non perciò sono fauste. Insomma, non si può mai essere sicuri di nulla. Prima ancora, si usava e si continua a praticare il metodo nasometrico. Se statisticamente risulta che l’età di vita attesa per i maschi è di 80 anni, è uno scherzetto calcolare quanti anni mancano al lieto evento.



Fortunatamente, nessun metodo oggi è in grado di operare previsioni attendibili. Perché negli interstizi delle nostre vite si nascondono o il caso o il destino o la Provvidenza, dei cui disegni essa ci tiene amorosamente all’oscuro. La data della nostra morte resta sigillata nella scatola nera della vita, che sarà decifrata da altri, non da noi, come accade dopo una catastrofe aerea. E meno male! Perché sennò tutta la vita verrebbe ansiosamente stirata nell’attesa del fatale appuntamento.

Oppure passeremmo il tempo a “distrarci” per affogare il fatidico giorno nell’oblio: alcool, droga, sesso e rock ’n’roll… Il che, d’altronde, teologi e filosofi hanno sempre denunciato come la tentazione permanente della finitudine: dimenticarsi! Non sapere ci rende più liberi e responsabili di fronte alla “densità dell’attimo presente”, di cui già San Paolo scriveva che “è carico di grazia”. Allora, invenzione inutile o dannosa quella del braccialetto pre-funerario?



Utile, certamente. Perché fornisce informazioni più precise sullo stato di vitalità e di salute del nostro corpo. H. Simon faceva notare già negli anni 80 che la “olympic rationality”, la razionalità piena, è di pochi. Chi è in grado di controllare tutte le variabili per prendere una decisione razionale? A parte il fatto che a volte è pericoloso. 

Si veda il caso dell’asino di Buridano, che, avendo controllato tutte le variabili dei due mucchi di fieno, morì di fame. Avesse intravisto, a causa di una razionalità limitata, qualche differenza in più in uno dei mucchi, forse sarebbe ancora vivo. In ogni caso, per la maggioranza di noi vale il paradigma della “bounded rationality”, la razionalità limitata.

Cioè: non disponiamo mai delle informazioni necessarie e sufficienti per operare scelte “razionali”, salvo spiegare meglio che significa “razionale”. Perciò le nostre scelte sono spesso allegramente incoscienti, avventurose, casuali, sbagliate. Ora, disporre di informazioni sullo stato del corpo – il che è come dire “sullo stato dell’Io-nel-mondo” – può aiutare non solo nella banalissima, ma fondamentale gestione della salute fisica, ma, soprattutto, a esercitare una manutenzione intelligente della propria presenza nel mondo, nella misura in cui il corpo è la forca caudina, sotto la quale ogni mente deve passare. Tenere l’asticella più alta o più bassa a volte è decisivo: questo significa estendere l’area della razionalità limitata dell’homo sapiens. Non che questo basti. Lo diceva già Orazio: “video bona proboque, sed deteriora sequor”, vedo le cose buone e le sperimento, ma finisco per correre dietro alla peggiori. Attendiamo che il braccialetto migliori!…