È tempo di scelte del corso di studi universitari e molti studenti reduci dalle scuole medie superiori non hanno ben chiaro cosa si nasconda dietro molti di quelli che spesso sono solo i nomi delle discipline, specie di quelle scientifiche. È il caso della Chimica, che a prima vista tutti sembrano conoscere ma della quale si ha un’immagine per lo meno poco adeguata.



Ne abbiamo parlato con Raffaele Bonomo, del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università degli Studi di Catania, che da tempo si preoccupa di presentare nel modo più efficace e corretto la sua materia ai giovani che iniziano questo percorso (una traccia di tale impegno si trova nel pamphlet “A conceptual approach to the teaching of chemistry” di Raffaele P. Bonomo, Giovanni Tabbì e Alessandro Giuffrida, Nova Science Publishers, New York 2013).



Professore, che cosa studia realmente la Chimica? Qual è l’oggetto di cui si occupa?

Per tentare una risposta mi rifaccio al titolo di un classico testo dedicato alla chimica da Gaston Bachelard: Il Materialismo Razionale. Questo libro è al contempo un libro di storia e di filosofia della scienza ed esamina il travaglio culturale che ha portato chi si occupa di chimica a cercare di dare ordine e razionalità alla materia. Tale razionalità, cioè la scoperta di tutta una serie di relazioni che intercorrono nel regno minerale, non si presenta di primo acchito in natura ma è il frutto di un lungo iter razionale. In altre parole, il chimico non ha le caratteristiche del filosofo empirista, che impara dalla natura. Si è dato, però, un compito: quello di riconoscere un’organizzazione razionale sottesa alle sostanze materiali e quindi di cercare di mettere ordine tra di esse. Insomma, non è facile scoprire relazioni e leggi intercorrenti tra le sostanze; anzi a un primo esame, che tende sempre a essere superficiale, non possiamo negare di trovarci di fronte a un vero e proprio “disordine naturale”.



Cosa intende dire?

Di fronte all’uomo che desidera comprendere come stanno le cose, si presenta sempre una natura avara e in uno stato di estrema complessità. Il compito del chimico è stato quindi quello di riconoscere un ordine e, a poco a poco, con la sua creatività egli ha accresciuto la conoscenza delle caratteristiche delle sostanze naturali. In un brano del libro citato, Bachelard dice proprio così:«Infatti, la terra nei suoi fenomeni attuali è povera di insegnamenti chimici. Noi, senza dubbio, camminiamo su solfuri, su ossidi ed abitiamo in strutture sostanzialmente fatte di carbonati». Ora, purtroppo, se da un lato i minerali sono la testimonianza di un’attività arrestatasi milioni di anni fa, difficilmente essi continuano ad esercitare un’attività di tipo chimico se non in condizioni particolari. Il nostro mondo è povero, anzi è quasi del tutto sprovvisto, di esempi semplici di interazioni tra i materiali e queste sono troppo complicate per essere spiegate senza un corposo apparato razionale.

Allora, sempre seguendo Bachelard, possiamo dire che l’uomo comincia la sua attività razionale in chimica quando abbandona il regno naturale e inizia ad operare in laboratorio. La Chimica come scienza inizia quando vengono superati una serie di ostacoli culturali, alcuni dei quali costituivano dei veri e propri blocchi psicologici.

A cosa si riferisce?

Anche se la maggioranza delle sostanze elementari era nota, alcune di esse mancavano del tutto e ciò non permise un tentativo esauriente di classificazione dentro un sistema periodico come oggi lo conosciamo; si dovette aspettare l’emergere di una genialità come quella di Mendeev.

Poi si è dovuta anche superare la difficoltà di reperimento degli elementi stessi: infatti, la diversità nell’abbondanza naturale non ha permesso con facilità il riconoscimento di tutti gli elementi chimici.

Ancora, si è dovuta approfondire la distinzione tra alcune proprietà fisiche dei corpi come la luce, il calore, l’elettricità e la natura stessa dei corpi semplici.

Quindi, quali sono stati i passi più salienti di questo itinerario razionale?

 

 

Se il primo passo è stato l’abbandono del regno naturale, l’analisi è diventata la preoccupazione dominante (è da allora che la parola analisi viene associata alla figura del chimico). Quindi si sono moltiplicati gli sforzi cercando di decomporre le sostanze in modo da trovare i rapporti ponderali che costituiscono sia le molecole semplici che quelle complesse. Basta pensare al momento in cui si riconobbe che l’acqua non era un elemento e si verificò che è un composto chimico risultante dalla reazione di sintesi tra due gas elementari come idrogeno e ossigeno.

Il secondo passo è stato quello di ottenere reagenti più puri. In altre parole, se la prima preoccupazione è stata l’analisi la seconda diventa la purificazione e, pertanto, la ricerca di sempre più efficaci metodi di separazione e purificazione. Infatti, fin quando gli elementi e i composti più comuni non sono disponibili con un sufficiente grado di purezza, la chimica come scienza non ha avuto inizio.

E a quel punto?

In seguito, il lavoro di razionalizzazione delle proprietà della materia è consistito nel porre la stessa sotto schematizzazioni di tipo geometrico. Il chimico tedesco Friedrich August Kekulé nel 1850, seguendo i suggerimenti dello scozzese Archibald Scott Couper che usava porre dei trattini tra gli atomi, cominciò a scrivere “schizzi” di molti composti organici; ed è proprio questo il momento in cui appaiono le prime formule con la loro funzione esplicativa. All’inizio erano del tutto ipotetiche, ma a poco a poco hanno trovato una valorizzazione quasi realista.

Quindi le formule di struttura affermano qualcosa circa la realtà della molecola, non sono solo un modo convenzionale di rappresentare la materia…

 

 

Sì, non mi sembra corretto dire che si tratta solo di rappresentazioni convenzionali. Al contrario, la formula è una presentazione che non solo spiega le proprietà chimico-fisiche del composto, ma soprattutto suggerisce le esperienze che su di esso possono essere fatte. Di fronte alla formula, ci sono esperienze chimiche che appaiono a priori impossibili, perché vietate dalle formule stesse; d’altra parte ci sono esperienze che mai si sarebbe tentato di realizzare se non se ne fosse prevista la possibilità in base alla formula sviluppata.

Questo modo di procedere si è dimostrato estremamente efficace e come afferma Joachim Shummer: «le formule di struttura sono realmente una rappresentazione che permette di fare predizioni in campo chimico, [ed] è l’unico modo che conosciamo per derivare sistematicamente tali predizioni».

Solo le teorie strutturali rendono conto delle proprietà della materia? Oppure se cerchiamo di trovare giustificazioni razionali alle trasformazioni chimiche abbiamo bisogno di qualcos’altro?

È importante capire che a questa razionalizzazione delle proprietà della materia si arriva studiando gli scambi energetici che avvengono durante le reazioni chimiche. Cioè, come afferma ancora Bachelard, «questo materialismo razionale è un materialismo energetico». Se ci interessa comprendere le ragioni che portano alle trasformazioni della materia, siamo costretti ad approfondire questi scambi energetici, altrimenti ci fermeremmo a una mera descrizione di fenomeni sperimentali. Insomma, di una materia priva di energia non sapremmo che farcene. Il fenomeno chimico non è riconducibile a una semplice descrizione, il fenomeno è la manifestazione di un’energia, sarebbe meglio dire di un bilancio energetico tra ciò che abbiamo distrutto (quindi abbiamo dovuto spendere) e ciò che abbiamo costruito (quindi abbiamo guadagnato).

Bachelard afferma: «Se non si conoscono questi rapporti di energia, non si possono sfruttare tutte le possibilità […] per la creazione di sostanze nuove». Ne consegue che la conoscenza di questi rapporti di energia diventa una possibilità di creatività. È vero che l’energetica di un fenomeno chimico viene sempre in posizione seconda rispetto alla descrizione del fenomeno stesso, ma con una necessità ineluttabile se vogliamo comprendere i fenomeni in profondità.

È attraverso le leggi dell’energia che ci rendiamo conto delle trasformazioni della materia. Discipline come la termodinamica chimica o le varie spettroscopie hanno svolto un ruolo insostituibile, in quanto ci hanno aiutato a comprendere radicalmente i fenomeni chimici.

Concludendo, possiamo affermare che se le formule, mediante una geometrizzazione della materia hanno giocato il ruolo di catturare l’immaginazione del chimico nel concepire nuovi possibili esperimenti, al contempo lo studio degli scambi energetici si è rivelato insostituibile nel capire quali sono le ragioni che stanno dietro gli eventi chimici.

 

(Michele Orioli)