Dal Digital Divide alla Smart Society il passo non è né breve né semplice: è un percorso già iniziato ma è un cammino ancora lungo e non è esente da strettoie e punti critici. Ne parlano sociologi e politici ma anzitutto ne parlano gli informatici; come hanno fatto la scorsa settimana a Salerno i partecipanti al 50° Congresso Nazionale Aica, che aveva come tema portante il cammino verso una società che sfrutti pienamente il digitale.



Aica (Associazione Italiana per l’Informatica ed il Calcolo Automatico) è la più antica associazione italiana di professionisti informatici operante da circa 50 anni ed è conosciuta, soprattutto dai giovani, come la promotrice in Italia dell’ECDL, cioè la patente europea del computer di cui oggi sono in possesso oltre due milioni di persone nel nostro Paese. L’associazione è impegnata fin da suo inizio nel tentativo di accelerare il processo di informatizzazione del Paese: «un processo – ha dice Bruno Lamborghini, Presidente di Aica – che ci vede ancora distanti dai principali partner europei, con effetti purtroppo negativi sul nostro sviluppo. Quindi c’è un digital divide che si esprime in cifre come quelle che ci dicono che ancora il 60% delle famiglie italiane non entra in Internet; e che si manifesta nei numerosi problemi che ci sono ancora da questo punto di vista nelle Pubbliche Amministrazioni e nelle scuole».



Ma non è sufficiente la popolarità e la diffusione dei Social Network a farci recuperare il divario? Sembra che l’Italia sia in posizione avanzata nell’uso dei Social Network, che da noi vedono coinvolta il 75% della popolazione mentre ad esempio negli Usa la percentuale si aggira sul 72%. Allora, può essere limitativo o addirittura negativo l’ingresso di molti giovani nell’informatica a partire da Facebook, Twitter e compagnia? Secondo Lamborghini «i Social Network stanno creando un processo inerziale verso forme di relazione molto importanti. Si può discutere sul valore positivo o negativo di tutto ciò, però sicuramente il loro utilizzo permette a tanti di accedere a delle conoscenze, soprattutto a degli scambi di conoscenze. Non bisogna tuttavia accontentarsi della partecipazione ai Social Network. Proprio nel convegno di Salerno abbiamo voluto raccontare di nuove forme di attività imprenditoriale basate su quello che io chiamo il matrimonio tra bit e atomi: non soltanto bit, non soltanto attività virtuali ma un nesso sempre più stretto ed efficace del bit con la produzione, col manufacturing».



Attraverso le comunicazioni dei giorni scorsi si è aperto un interessante discorso, ad esempio, su quelli che vengono chiamati FabLab (da Fabrication Laboratory) o sulle stampanti 3D, che stanno emergendo in modo straordinario anche in Italia creando nuove opportunità di produzione basate su nuovi modelli produttivi che fanno leva sull’uso delle reti. «È un tema – sostiene convinto Lamborghini – che può dare all’Italia una nuova prospettiva di sviluppo industriale e ai giovani nuove opportunità per fare impresa».

Questo allargamento delle potenzialità applicative dell’Information Technology (IT) va di pari passo con la constatazione di alcuni limiti, legati soprattutto agli aspetti della sicurezza e della affidabilità di sistemi sempre più complessi. Balza evidente qui una delle caratteristiche dell’IT: l’essere insieme potente e fragile, in grado di ottenere grandi risultati ma suscettibile di essere messa in scacco da un ragazzino smanettone o da un malfunzionamento di un’apparecchiatura collaterale. Ci si domanda allora se oggi, a fronte di tante ricerche, stia prevalendo il primo dei due aspetti o se dobbiamo imparare a convivere con entrambi.

Secondo la professoressa Genny Tortora, dell’Università degli Studi di Salerno e presidente del Comitato Scientifico del convegno Aica, «in ogni nuova tecnologia ci sono, più o meno nascoste, insidie e potenziali rischi. Sul tema della sicurezza informatica gli studi sono molto avanzati; ce ne sono molti anche nella nostra università, dove abbiamo dato vita a uno spin-off che progetta modalità di utilizzo delle reti con minor uso di password e con accessi che utilizzano sistemi biometrici di riconoscimento; penso all’iride, che è uno dei metodi più attendibili. La riduzione dei rischi di attacchi hacker e di crimini informatici deve avvalersi di procedure sempre più “naturali” e non macchinose».

Lamborghini aggiunge un elemento che deriva dall’attuale impegno di Aica, che si sta intensamente occupando della “cultura della sicurezza”: «è un problema anzitutto culturale, per questo stiamo lavorando molto con le scuole, ma con l’obiettivo primario di sensibilizzare docenti e famiglie, visto che i ragazzi e ormai anche i bambini sono fruitori di IT ma sono anche i più esposti alle sue molteplici insidie e ai suoi rischi». Anche sulla privacy il Presidente di Aica ha un’idea precisa: «Dobbiamo abituarci ad affrontare in modo diverso il concetto di privacy: dobbiamo fare un bilancio tra gli indubbi vantaggi, da un lato, del nuovo paradigma della “collaboration”, dello scambio delle conoscenze e, dall’altro, della crescente perdita della privacy. Dico sempre ai giovani di fare attenzione a ciò che pubblicano su Facebook, perché è tutto materiale che rimarrà pubblico per sempre».

Allora, dobbiamo rallentare la corsa verso la Smart Society? O non è forse che per usare strumenti smart ci vorrà della gente smart? Ma qui tocchiamo un punto critico della questione informatica: il fattore educativo. «Educare la gente ad usare in modo intelligente e critico gli strumenti informatici è ancora un obiettivo lontano – dice Lamborghini – È un problema che richiede una disponibilità di tutta la società a crescere in questa direzione; iniziando dalle scuole. Noi stiamo dedicando un grande impegno alla formazione dei docenti, la maggior parte dei quali è priva di cultura informatica e affronta con fatica anche l’utilizzo delle lavagne multimediali o dei tablet».    

Siamo comunque in un momento molto caldo, conclude Tortora, «i processi in corso sono tanti ed è importante che tutti gli attori della futura Smart Society si mettano intorno a un tavolo e operino insieme. La crisi può rappresentare un momento di rilancio e una decisiva possibilità anche per superare il divario digitale».

 

(ha collaborato Renato Pelella)