L’Italia si colloca a metà della speciale classifica che elenca i Paesi in base alla percentuale di rifiuti recuperati o riciclati: da noi circa il 50% dei rifiuti va ancora in discarica, mentre ci sono nazioni dove non ne va quasi nulla e altri dove va quasi tutto ciò che viene scartato. È un dato che fa da sfondo all’ultima interessante iniziativa del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano: la mostra interattiva “Da cosa nasce cosa. Il ciclo di vita dei prodotti”, che si aprirà domani sera in occasione della “Notte dei Ricercatori”, un evento multiforme disseminato in contemporanea in 300 città europee con una varietà di manifestazioni.



La mostra è un invito a esplorare e riflettere sui concetti di Ciclo di vita dei prodotti e Analisi del ciclo di vita (Lca), stimolando nel visitatore la consapevolezza che, per fare una corretta analisi dei vantaggi e degli svantaggi legati alla realizzazione di un prodotto, è necessario studiarne l’impatto economico, ecologico e sociale durante tutte le fasi della sua vita. L’esposizione è articolata in cinque sezioni ma ciascuna apre tutto un mondo dove si incrociano gli aspetti scientifici e tecnologici con quelli economici e quelli legati ai nostri comportamenti quotidiani. Alle quattro parti che individuano il ciclo di vita di un prodotto – cioè produzione, distribuzione, uso e dismissione – viene premessa una sezione dedicata alla progettazione, che è un fattore determinante per rendere le fasi successive compatibili con una prospettiva di buon uso delle risorse e di rispetto dell’ambiente.



È evidente che una data caratteristica progettuale di un oggetto può renderne impossibile o comunque antieconomico smontarlo a fine vita per recuperare materiali o riciclarne dei componenti; viceversa, attuando il cosiddetto design for disassembling si faciliterà la separazione dei materiali e la suddivisione in parti, pur senza rinunciare al valore estetico e funzionale dell’oggetto.

Ormai l’analisi Lca è diventata una metodologia scientifica collaudata, anche se non sempre applicata, e consente di progettare tenendo conto del maggior numero possibile di fattori e anche di evitare di seguire acriticamente luoghi comuni o dare la qualifica di imperativi assoluti a quelli che spesso sono solo dei miti. Gli esempi non mancano. Chi l’ha detto che l’impatto ambientale di un piatto di porcellana usato mille volte sia superiore a quello di mille piatti monouso in plastica? Sarà l’analisi Lca a valutare quale soluzione sia preferibile in un determinato contesto; come spiega una ricerca del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Trento che ha messo a confronto le due situazioni mostrando che i risultati dipendono in gran parte dalle modalità di dismissione dei rifiuti.



Un altro mito almeno da ridimensionare è quello relativo all’imballaggio, che rappresenta uno degli elementi preponderanti nella fase che segue la produzione, ovvero la distribuzione. Per dare un’idea del peso relativo del packaging, basti considerare che gli imballaggi costituiscono il 34% di tutti i rifiuti prodotti annualmente in Italia. Una intelligente “trovata” espositiva esplicita le principali funzioni dell’imballaggio e illustra la complessità del problema. Sono inventati otto “packaging impossibili”, otto oggetti mai visti (e che mai si vedranno) – progettati dal Museo in collaborazione con il Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano – che svolgono in modo ottimale una singola funzione senza però soddisfare altre funzioni fondamentali.

Ci limitiamo a citare i blister per le fragole, che fanno una buona barriera ai gas ma rischiano di farci spappolare il frutto per estrarlo; oppure una resina che avvolge integralmente un bicchiere di cristallo, proteggendolo perfettamente da urti e schiacciamento ma ben difficile da spacchettare per usarlo; o ancora le scatole autoportanti con la forma dei celebri blocchetti del videogioco “Tetris”, ottime per lo stoccaggio e il trasportare ma difficilmente sistemabili negli armadi di casa. Tutto ciò per portarci alla conclusione che non è detto che il prodotto sfuso sia sempre meglio di quello imballato.

Opportunamente, alla fase di dismissione, più vicina alla quotidianità del visitatore ma anche per molti più oscura, è dedicata la parte principale dell’esposizione: sono introdotti i parametri che determinano la modalità di gestione dei rifiuti e le linee guida dettate a livello europeo. Il cittadino visualizza le diverse tipologie di prodotti da buttare, con particolare attenzione ai RAEE, Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, e scopre che cosa accade quando escono da casa sua.Oggetti storici e contemporanei permettono di confrontare come sia cambiata nel tempo la raccolta dei rifiuti. Opere d’arte create appositamente per l’allestimento partendo da oggetti dismessi suggeriscono che anche gli scarti possono tornare a nuova vita.

Per finire, la testimonianza che i principi esposti si possono mettere in pratica: in occasione dell’apertura della mostra verrà avviato il sistema di raccolta differenziata all’interno del Museo, realizzato in partnership con l’acqua minerale Levissima, marchio del Gruppo Sanpellegrino. Il progetto prevede l’allestimento di 20 postazioni, ciascuna fornita di un contenitore organizzato in tre spicchi, per la raccolta dei rifiuti in plastica/metallo, carta e per l’indifferenziato. I contenitori sono personalizzati con immagini e messaggi che mostrano con semplici equivalenze tutto ciò che può nascere dal riciclo delle bottiglie in PET, materiale prezioso perché al 100% riciclabile.