Quando riceviamo un mazzo di fiori o, durante una passeggiata, ci fermiamo a guardare i prati o le foglie d’autunno, rimaniamo incantati dalla bellezza dei loro colori, dall’armonia della natura che ti sorprende con mille tonalità differenti. Associamo i colori agli stati d’animo, li usiamo per esprimerci: una variegata ricchezza che attiva i nostri sensi e ci permette di passare dalla dimensione sensoriale alla memoria, guidandoci in scenari romantici, emozionali.



Questo, però, è solo uno degli aspetti che ci possono colpire; proviamo a chiedere da dove venga il colore di una rosa rossa: basta questa domanda e la copertura romantica inizia a mostrare una crepa che lascia intravedere un nuovo oggetto che assomiglia di più a una centrale energetica ad alto potenziale, di quelle che si possono vedere nella saga di Star Wars. L’aspetto gentile del fiore maschera un sistema di meccanismi e antenne usati per catturare l’energia solare e trasformarla nella fonte di sostentamento per la pianta.



I colori che ci incantano, in realtà, sono porzioni dello spettro luminoso che le piante, con i loro raccoglitori di energia, non riescono ad assorbire e, rimbalzando, arrivano al nostro occhio che si lascia stregare. Qui la poesia del fiore potrebbe perdere un po’ del suo impatto se il risultato dello scarto non fosse così eccezionale.

Proviamo a rimanere concentrati sulla centrale energetica: il punto chiave della struttura sono le antenne fotosensibili, complessi proteici sui quali sono innestati dei pigmenti, come le clorofille o i carotenoidi, che si eccitano con lo stimolo luminoso ma con una resa energetica piuttosto bassa, visto che riescono a sfruttare solo una minima parte dello spettro della luce.



Alcuni studiosi hanno deciso di provare a costruire delle antenne con una capacità di assorbimento maggiore di quelle delle piante. Un nutrito team di ricercatori, nell’ambito di un progetto organizzato dal Photosynthetic Antenna Research Center (PARC) della Washington University di St. Louis (Usa), hanno realizzato due prototipi: uno completamente sintetico, con pigmenti Oregon verde e Rhodamine rosso; uno combinando l’Oregon verde con bacterioclorofilla, un pigmento fotosensibile tipico dei batteri, che assorbe nella regione vicino all’infrarosso.

I risultati ottenuti con entrambi i prototipi hanno fatto capire che la strada intrapresa era quella giusta: si poteva effettivamente costruire un’antenna con capacità di assorbimento superiore rispetto a quella naturale.

A questa è seguita un’altra considerazione, forse ancora più affascinante; i due prototipi, sintetico e ibrido, davano risultati assolutamente paragonabili ma la seconda antenna aveva un vantaggio in più: non era da costruire da zero, forniva già una base pronta su cui lavorare.  

Si era presentato, sotto gli occhi dei ricercatori della Louisiana, il miglior scenario possibile, sia per l’alta resa sia per la fatica che faceva risparmiare.

L’unione dell’ingegno umano, che cerca una risposta a problemi sempre nuovi, con una robusta impalcatura proteica selezionata da uno dei giudici più severi, l’evoluzione, hanno dato una solida base per proseguire nella sperimentazione. Ora si sta testando la capacità di queste antenne di tenere e coordinare un quantitativo sempre maggiore di pigmenti fotosensibili e in un futuro questo potrebbe alimentare il fabbisogno di energia di piccoli sistemi molecolari.