Un secolo e mezzo è ormai trascorso da quando Karl Möbius iniziò a studiare, dal punto di vista dei bilanci energetici, i banchi di ostriche della costa tedesca fissando così, di fatto, l’inizio dell’ecologia marina. Da allora molta strada è stata percorsa attraverso una continua teoria di paradigmi ogni volta faticosamente costruiti e, subito dopo, repentinamente infranti a causa della scoperta di un nuovo componente del sistema fino a quel momento completamente ignorato. Ad esempio, recentemente, un gruppo italiano ha messo in luce il ruolo, prima totalmente sconosciuto, che hanno i virus nel regolare le popolazioni batteriche delle piane abissali: gli ecosistemi di gran lunga più estesi sulla faccia del pianeta.
Il punto chiave dei trasferimenti energetici nell’ambente marino è stato precocemente riconosciuto nelle microalghe planctoniche che, in numeri sbalorditivi fluttuano sospese nelle acque superficiali di tutti gli oceani del mondo. Grazie alla clorofilla contenuta nelle loro cellule, questi microscopici organismi sono in grado di trasformare l’energia luminosa proveniente dal sole in energia chimica immagazzinata nei legami delle molecole di glucosio sintetizzate a partire da acqua e anidride carbonica. L’efficienza fotosintetica del fitoplancton marino è molto alta: benché la biomassa fotosintetizzante non superi l’1% di quella terrestre, la quantità di carbonio organica prodotto è all’incirca equivalente.
Recentemente è stato osservato che la tipologia delle cellule che compongono il fitoplancton sta cambiando, probabilmente di pari passo con l’aumento della temperatura delle acque oceaniche. In particolare da qualche decennio è in corso una progressiva sostituzione di cellule eucariotiche, come diatomee e dinoflagellate, con procarioti fotosintetici chiamati cianobatteri. Quelli appartenenti al genere Prochlorococcus occupano le acque oceaniche nella fascia compresa tra il quarantacinquesimo parallelo Nord e il quarantesimo Sud rappresentando, probabilmente, il più diffuso organismo fotosintetico del pianeta.
Proprio in questi giorni Science ha pubblicato una ricerca nella quale è descritta la capacità di questi cianobatteri di liberare vescicole che, da un punto di vista dimensionale, hanno un diametro sei volte inferiore alle cellule da cui derivano. Queste microstrutture, che si trovano nelle acque marine con numeri incredibili, sono rifasciate da parete batterica e contengono frammenti di acidi nucleici, compresi Dna e Rna: la loro funzione è ancora misteriosa anche se gli autori della ricerca formulano una serie di affascinanti ipotesi.
Una prima possibilità, a mio modo di vedere particolarmente interessante, riguarda il fatto che queste microscopiche vescicole possano rappresentare cibo per i batteri eterotrofi (quelli che devono metabolizzare sostanza organica già pronta). Perché le cellule di Prochlorococcus dovrebbero curarsi di sintetizzare sostanza organica per nutrire gli altri batteri presenti nella colonna d’acqua?
È stato accertato che Prochlorococcus ha perso i geni in grado di produrre gli enzimi necessari per neutralizzare i radicali liberi derivanti dall’attività fotosintetica come, ad esempio, la catalasi. D’altra parte questi enzimi sono abbondanti in altri gruppi di batteri che quindi potrebbero essere utilmente “allevati” dai Prochlorococcus per ripulire il comune ambiente dai radicali tossici.
Una seconda ipotesi prevede che le micro-vescicole rappresentino vettori per il trasferimento orizzontale di geni. Visto che tutti i batteri si riproducono asessualmente per scissione binaria, ogni cellula dovrebbe essere una copia esatta della cellula madre. Un modo per aumentare la variabilità genetica della popolazione potrebbe dunque essere la condivisione di parti del genoma, portatrici di eventuali mutazioni casuali, tra cellule diverse.
Una terza possibilità suggerisce che le vescicole siano prodotte come esche per distrarre l’attacco dei virus: una spesa energetica giustificata da una riduzione di incidenza delle infezioni sulle cellule in grado di riprodursi. Data la vita in ambiente marino, un buon paragone potrebbero essere i falsi bersagli che i sottomarini lanciano per distogliere dall’obbiettivo principale i siluri nemici (ricordate Sean Connery nel mitico Caccia a Ottobre Rosso?).
Queste ipotesi non si escludono vicendevolmente e altre ancora potrebbero essere formulate ed eventualmente testate. In generale le micro-vescicole prodotte a miliardi dai cianobatteri costituiscono un nuovo anello dei trasferimenti energetici che avvengono nella colonna d’acqua e aprono la strada ad una infinità di nuove ricerche sulla rete di relazioni che legano gli organismi marini. Questa rete, che un tempo credevamo composta da maglie piuttosto regolari ci sembra ora sempre più complessa, più plastica e quindi più difficile da districare nel suo complesso. Le vecchie relazioni trofiche che rappresentano la struttura portante dei rapporti tra specie all’interno di un ecosistema sono regolate in continuo da altre relazioni coevolutive nelle quali le simbiosi giocano un ruolo determinante.
Un nuovo paradigma sta per consolidarsi, attendiamo le prossime sorprese.